Don Sorrentino: “Ogni confessione è una risurrezione”

(Foto Archivio foto santuario di Pompei)

Di Gigliola Alfaro

Il sacramento della riconciliazione non è in crisi a Pompei, “un’oasi di pace”, dove migliaia di pellegrini giunti al santuario della Beata Vergine del Rosario vivono anche la grazia della confessione. In occasione del Giubileo dei missionari della misericordia che si sta celebrando in questi giorni a Roma, abbiamo raccolto la testimonianza di don Salvatore Sorrentino, sacerdote di Pompei e missionario della misericordia.

(Foto Archivio foto santuario di Pompei)

In santuario molti pellegrini si accostano al sacramento della riconciliazione?

Noi a Pompei siamo privilegiati perché, come sacerdoti e in particolare come missionari della misericordia, non dobbiamo spostarci a intercettare i penitenti:

il santuario è un’oasi di pace, dove si riversa chi ha bisogno dell’esperienza della misericordia di Dio.

Ogni anno migliaia di pellegrini intercettano la cappella delle confessioni in santuario: siamo dei missionari statici, non dinamici, siamo qui ad accogliere i penitenti. Il “grosso lavoro” lo fa la mediazione di Maria Santissima, Madre di Misericordia: già il santuario dedicato alla Madonna attira i penitenti qui dove possono ricevere il perdono di Dio.

Cosa fate quando un penitente vi chiede il sacramento della riconciliazione?

La nostra parte è metterci in ascolto, dare il tempo necessario al penitente di parlare. Molto spesso le persone arrivano in confessionale mosse dalla grazia di Dio, non lo sanno neppure, la grazia, infatti, agisce per lo più in maniera invisibile, silenziosa, ma efficace. Vengono al confessionale e dicono: “Mi sono sentito spinto dentro ad entrare”. Questa spinta che i penitenti avvertono è un movimento che viene dalla grazia di Dio, dallo Spirito Santo. Noi dobbiamo dare il tempo alle persone di esprimersi, perché a volte sono impacciate, non sanno da che parte cominciare, c’è un po’ di timore perché il sacramento della confessione è eccezionale, però c’è anche l’aspetto penitenziale di aprire il cuore a un sacerdote che magari non si conosce, parlando di se stessi, poi, in aspetti non belli.Noi dobbiamo mettere la persona a suo agio, in tranquillità, perché l’esperienza che sta facendo è di liberazione dal peccato, che schiaccia l’anima.Questo comporta due aspetti: il primo è la sofferenza interiore, il secondo è che questa sofferenza porta ad aprire il cuore al pentimento e poi alla gioia. Come dice San Paolo, la “tristezza secondo Dio”, che porta al ravvedimento e alla conversione. Nell’oasi del santuario diamo in confessionale tempo ai penitenti che è il tempo di Dio.

Ci sono sempre molte persone che vengono a confessarsi in santuario?

Abbiamo dei picchi il primo venerdì del mese, che è dedicato al Sacro Cuore di Gesù, i sabati e le domeniche, nei tempi di pellegrinaggio, maggio e ottobre. In queste occasioni stiamo in confessionale anche due o tre ore di seguito.

Offrite un aiuto per un esame di coscienza corretto a chi viene nella cappella delle confessioni?

Abbiamo un sussidio esposto all’ingresso della cappella e anche volontari che lo indicano ai penitenti. Leggendo il sussidio c’è la possibilità di prepararsi bene in coscienza. L’opuscolo è fatto molto bene, con riferimenti alla Parola di Dio e ai Dieci Comandamenti; vengono dati anche alcuni consigli. Non sempre, però, c’è un approccio positivo alla preparazione al sacramento, per cui quando ci accorgiamo che il penitente non è tanto preparato facciamo domande, aspettiamo i suoi tempi.

Molto spesso, persone che portano nel cuore gravi pesi entrano nel confessionale e non dicono niente, ma piangono.

Dobbiamo saper attendere e vivere anche il ministero della consolazione: il sacerdote che confessa è anche un consolatore dell’anima. A volte, è necessario anche creare un ambiente più sereno con qualche battuta, proprio per far sentire la persona accolta e a suo agio. Bisogna essere anche un po’ psicologi.

A volta, i fedeli fanno fatica ad accostarsi al sacramento della riconciliazione, forse perché è ancora restata l’idea del giudizio. Come mostrare, allora, l’amore misericordioso di Dio attraverso il sacramento?

Noi facciamo la nostra parte, ma il lavoro più grande lo fa la grazia.

Nella mia esperienza personale, mi accorgo che ci sono situazioni così complesse di fronte alle quali non ho una risposta a livello razionale, poi all’improvviso si accende una luce interiore che mi permette di dire cose a cui non avevo mai pensato prima, eppure sono proprio le parole efficaci in quel momento per mostrare il volto misericordioso di Dio al penitente. Questo ministero non si traduce in una seduta psicologica, ma la celebrazione di un sacramento dove agisce la grazia. Noi siamo solo delle mediazioni povere. Con l’esperienza ci accorgiamo che la grazia fa il lavoro più grande.

In un mondo secolarizzato come quello di oggi, c’è il rischio che la misericordia sia scambiata per buonismo?

La misericordia non significa: fai quanti peccati vuoi e poi Dio ti perdona. La misericordia è la luce che Dio mette nel cuore del peccatore e lo invita a convertirsi. Gli fa capire che ha sbagliato, è il cosiddetto richiamo della coscienza, che per noi cristiani e credenti è la voce di Dio. Quindi, il primo atto della misericordia è l’illuminazione del cuore con il richiamo della coscienza. Questo mette nell’animo del penitente la compunzione per aver offeso l’amore di Dio. Quando il cuore si apre alla compunzione o alla contrizione, nei casi più perfetti, il perdono di Dio ha la sua efficacia. Il ministro di Dio ratifica questo perdono con l’assoluzione sacramentale. Quell’“io ti assolvo” che il sacerdote dice “in persona Christi” significa che il penitente è davvero assolto in quel momento ed è un invito pressante alla conversione.Ogni confessione fatta bene è un cambiamento di vita. Il cuore, toccato dalla grazia di Dio, si trasforma.

La misericordia, quindi, non cancella il bisogno di giustizia, nel caso di peccati gravi che hanno arrecato danno agli altri?

Per i peccati più gravi c’è una penitenza proporzionata che permette di fare un cammino vero di conversione e di riflessione, che porta a una piena riconciliazione con Dio, con la Chiesa, con se stesso, con il mondo. Nei casi gravi c’è anche l’andarsi a costituire, ad esempio. Il nostro è un compito abbastanza delicato: dobbiamo far capire al penitente che, quando il cuore è aperto alla grazia e al pentimento, il perdono di Dio c’è sempre e raggiunge la sua efficacia. Il perdono di Dio viene prima della mia conversione.L’immagine di Cristo Buon Pastore, che va alla ricerca della pecorella perduta, è il fatto che Dio mi raggiunge con il Suo perdono, bussa alla porta della mia coscienza, quando mi faccio raggiungere da questa grazia il perdono diventa efficace.

Il Giubileo di quest’anno è dedicato alla speranza: in che modo la misericordia dà speranza ai penitenti?

La speranza è una virtù teologale, ma, in fondo, è Cristo stesso, il Cristo morto e risorto è la nostra speranza: abbiamo la certezza che il male è vinto, il peccato è perdonato, la certezza di una vita che non avrà mai fine, una vita da risorti a immagine del Cristo risorto. La misericordia, il perdono dei peccati nel confessionale, è una pregustazione di quella che sarà la risurrezione finale.

Ogni confessione è una risurrezione.

Una risurrezione nel cuore che porta a una risurrezione finale, nella nostra vita senza fine.

Quanto è centrale la misericordia nell’annuncio del Vangelo?

È fondamentale, perché

la misericordia si identifica, si concretizza, si incarna nel volto umano di Gesù Cristo.

È centrale perché la misericordia è la sintesi del messaggio evangelico. Già nell’Antico Testamento abbiamo il riferimento alla misericordia di Dio durante tutta l’esperienza del popolo di Israele attraverso la rivelazione storica, fino a raggiungere la pienezza della rivelazione che è Gesù Cristo stesso. Gesù completa l’opera della misericordia di Dio mostrando, attraverso il Suo volto umano, il volto invisibile del Padre, proprio attraverso il perdono.

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