Stefano De Martis
Il Consiglio dei ministri di venerdì sera ha varato un decreto-legge in materia di sicurezza, com’era nelle previsioni e nell’ordine del giorno, ma per la premier è stato anche l’occasione per tornare in una sede ufficiale sull’emergenza determinata dalla mossa di Trump sui dazi. Giorgia Meloni ha in sostanza ribadito l’invito a non farsi prendere dal panico e nel contempo ha reso noto un colloquio telefonico con il suo omologo inglese Starmer. Ha inoltre informato degli incontri che avrà lunedì con i leader dei partiti di maggioranza e martedì con i rappresentanti delle categorie produttive. C’è l’esigenza, tra l’altro, si avere una stima ragionevole dell’impatto che l’offensiva del presidente Usa avrà sulla nostra economia, dopo il crollo dei mercati finanziari che ha visto Milano in cima alla classifica negativa.
Il decreto legge riprende nella quasi totalità il testo del disegno di legge che il Consiglio dei ministri aveva già licenziato nel novembre 2023. Il ddl era andato avanti faticosamente nell’iter parlamentare, a settembre era stato approvato dalla Camera e ora si trovava all’esame del Senato, anche se per problemi di copertura finanziaria sarebbe comunque dovuto ripassare a Montecitorio. Il decreto-legge, invece, dev’essere convertito entra sessanta giorni ma è immediatamente esecutivo. C’è chi ha parlato di uno scambio tra l’esigenza della Lega di poter sbandierare subito le nuove norme e l’introduzione di alcuni correttivi non graditi a Salvini ma ufficiosamente richiesti dal Quirinale per rendere costituzionalmente potabile il testo. Sta di fatto che l’inedita operazione di travaso dal ddl al decreto, è stata comprensibilmente contestata dalle opposizioni perché oggettivamente svilisce il ruolo del Parlamento.
Vediamo ora in sintesi i punti su cui sono state apportate significative correzioni. Le pubbliche amministrazioni, i gestori di servizi di pubblica utilità, le università, le società controllate e partecipate e gli enti di ricerca non sono più obbligati a collaborare con i Servizi di sicurezza e a stipulare convenzioni che obbligano a cedere informazioni e dati anche in deroga alle normative in materia di privacy. Nelle carceri (ma anche nei Cpr) il reato di “rivolta” si considera commesso solo in presenza di violazioni di ordini impartiti “per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza”.
L’aggravante per iniziative contro opere pubbliche di rilevanza nazionale viene limitata alle infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o altri servizi pubblici. Per quanto riguarda l’acquisto di sim card telefoniche, ai migranti basterà mostrare un documento d’identità e non anche il permesso di soggiorno. Per motivi di equità del diritto penale, anche nei reati di aggressione o resistenza a pubblico ufficiale bisognerà tenere conto delle eventuali attenuanti. A proposito di forze dell’ordine, comunque, il decreto prevede che agenti e militari indagati o imputati per fatti di servizio potranno lavorare mentre lo Stato sosterrà le loro spese legali, fino a 10mila euro per ogni fase del procedimento. Tornando alle correzioni, per quanto riguarda i reati commessi da madri incinte o di minori inferiori a un anno, si prevede il ricorso agli istituti di “custodia attenuata” e non al carcere, e il giudice può valutare le preminenti esigenze del minore anche in presenza di una condotta grave della madre.
Infine, è stato corretto uno dei punti più criticati (chiamato dalla Lega “anti borseggiatrici rom”): ora si prevede l’obbligatorietà della custodia cautelare presso un istituto di custodia attenuata (e non in carcere) per le madri incinte o di minori inferiori a un anno. E il giudice può valutare le preminenti esigenze del minore, anche in presenza di una condotta grave della madre.