(Foto ANSA/SIR)

Di Riccardo Benotti

“Quando una famiglia viene colpita in modo così violento, tutta la comunità si sente ferita. È responsabilità di tutti costruire percorsi di pace e rispetto.” La tragica morte di Ilaria Sula ha scosso profondamente Terni e richiamato l’attenzione sulle radici della violenza tra i giovani. Profondamente colpito da quanto accaduto, il vescovo di Terni-Narni-Amelia, mons. Francesco Soddu, esprime la sua vicinanza alla famiglia e alla comunità.

(Foto Calvarese/SIR)

La morte di Ilaria ha colpito profondamente Terni e l’Italia intera. Come ha vissuto questi giorni, Eccellenza?
Prima di tutto con rispetto. Ho voluto essere vicino alla persona e alla famiglia, pur sapendo che non appartengono alla fede cattolica. Ho inviato un messaggio di vicinanza: una presenza a distanza, ma molto sentita. Quando una famiglia viene colpita in modo così violento e feroce,

tutta la comunità di Terni si sente ferita.

Durante i funerali, si è percepita una grande partecipazione. Lei ha scelto di seguire a distanza.
Sì, ho preferito mantenere una distanza discreta, proprio per rispetto. Ma ho seguito tutto con attenzione. È stato un momento di grande raccoglimento, di silenzio e di dolore condiviso.

Nonostante le differenze di fede, il dolore ha fatto emergere il valore di essere comunità. Quanto è importante?
È importante, ma occorre andare oltre l’emozione del momento. Il dolore deve spingerci a riflettere su ciò che genera la sofferenza: la violenza. Dobbiamo trovare percorsi comuni che aiutino a rimuovere le cause della violenza, non solo a gestirne gli effetti. Servono punti di riferimento chiari, soprattutto per i giovani. Se i ragazzi vedono modelli sbagliati o assorbono messaggi di violenza, anche verbale, il rischio è enorme. Ho letto diverse interviste e mi ha colpito in particolare quella della presidente Stefania Proietti: senza esserci messi d’accordo, ripercorre pensieri che condivido pienamente.

Dobbiamo dare messaggi di pace, non di violenza, e cominciare proprio dalle parole. Dalla violenza verbale a quella fisica il passo è breve.

Viviamo un tempo segnato da parole dure, spesso violente, anche a livello pubblico e politico. Quanto pesa questo clima?
Pesa moltissimo. È come una cascata che, se non controllata, diventa distruttiva. E richiamando una bella realtà che abbiamo qui a Terni, penso alla cascata delle Marmore: una forza che, se non controllata, è ingestibile. Per questo è necessario prima di tutto fare silenzio. Dal silenzio possono nascere riflessioni, non l’istinto. L’istinto genera reazioni uguali e contrarie, mentre la pace e il vero progresso nascono dalla capacità di riflettere prima di agire. Se reagiamo d’istinto, non creiamo né pace né progresso: lo sappiamo molto bene.

Davanti a giovani che uccidono altri giovani, quale messaggio sente di condividere? E quale impegno può assumere la Chiesa?
Non mi rivolgo solo ai giovani, ma agli educatori, che sono prima di tutto gli adulti. Dobbiamo offrire esempi chiari e forti. Educare sembra una parola vasta, ma in realtà è concreta: significa costruire percorsi virtuosi, azioni che generino pace, giustizia, solidarietà vissuta. Solidarietà vuol dire stare insieme con rispetto, fraternità, capacità di discutere e accettare la diversità. Oggi, invece, la diversità è spesso vista come un ostacolo all’autoaffermazione. Ma chi l’ha detto?

Il mondo cresce e la società si sviluppa proprio nell’accoglienza della diversità. È l’armonia delle differenze che fa crescere la persona e la collettività. Un mondo omologato sarebbe un disastro. Lo hanno ricordato i Pontefici e i grandi pensatori. La diversità crea socialità, amicizia, tutto ciò che di bello c’è nell’universo e nella società.

Diversità intesa anche tra uomo e donna, come modo di amare e di relazionarsi.
Certo. L’incontro tra le differenze è una ricchezza. Come diceva don Tonino Bello, è nella convivialità delle differenze che si costruisce qualcosa di bello e di vero.

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