
Di Daniele Rocchi
“Fare cura significa innanzitutto ‘aver cura’, nel senso più pieno del termine. Il verbo ‘curare’ indica un’azione continua, costante. Assicurare a un bambino malato e alla sua famiglia non solo le terapie, ma anche un’accoglienza umana, quasi una casa, non dico che permetta di vivere una piena normalità, ma certamente aiuta moltissimo”.

(Foto Ass. Marcangeli)
Con queste parole, Tiziano Onesti, presidente dell’Ospedale “Bambino Gesù”, ha salutato, oggi, l’apertura della seconda casa dell’associazione, senza scopo di lucro, “Edoardo Marcangeli” (www.assoedoardomarcangeli.org) che accoglie bambini malati oncoematologici, e le loro famiglie, che sono in cura presso l’ospedale pediatrico. “A Casa di Edo 2” si legge nella targa affissa alla porta dell’appartamento situato in via della Stazione di San Pietro, a Roma, a pochi passi dal nosocomio. Sullo stesso pianerottolo si trova anche “A Casa di Edo 1”. “Donare e donarsi” è lo stile dell’associazione, nata a Carsoli (Aq) nel 2015, per volontà di Adelfo e Cinzia i genitori di Edoardo Marcangeli, venuto a mancare giovanissimo. Alla inaugurazione di questa mattina oltre al presidente Onesti, erano presenti, tra gli altri, anche mons. Giordano Piccinotti, presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica (Apsa), l’attore Enrico Brignano e diverse famiglie e persone legate all’associazione.
“Piccoli aiuti concreti, offerti con costanza e presenza – spiega al Sir, Onesti – rappresentano una forma autentica di assistenza. Questo rende anche le terapie più efficaci. In quest’opera, è davvero encomiabile l’impegno di quei genitori che, dopo un lutto tanto grande, riescono a trasformare il dolore in una forza di costruzione e altruismo ancora più intensa”.
Presidente Onesti, alla luce della sua esperienza alla guida di un ospedale come il Bambino Gesù, che prende in cura bambini, molti dei quali affetti da gravi patologie, con le loro famiglie, come è possibile trasformare il dolore in una risorsa positiva da condividere con altri?
“Il dolore è qualcosa che si vive intimamente. Ci sono momenti in cui si rischia di lasciarsi andare, non si può negarlo. È come uno scrigno che custodisci dentro di te, sempre presente. Come si vive il dolore? Ricordando continuamente la persona che non c’è più. Io stesso l’ho vissuto, avendo perso mio figlio, che aveva 24 anni: sono ormai dieci anni dalla sua scomparsa. Al di là della sofferenza, si impara a vivere il dolore anche con il sorriso, cercando sempre di guardare al futuro. Il dolore può diventare una forza, un’energia vitale, ma serve tanto impegno.
La cosa da rifiutare con decisione è la solitudine.
Noi che restiamo, noi superstiti, dobbiamo assicurarci che nessuno resti solo. La solitudine è sempre dolorosa, ma nel momento della sofferenza diventa insopportabile. Che sia un dolore fisico o morale, se lo si affronta da soli è durissimo. L’affetto delle persone care e il ricordo di chi abbiamo amato ci aiutano a camminare ancora.
In che modo l’ospedale Bambino Gesù accompagna questo percorso?
“Il Bambino Gesù è una realtà che ha nel suo stesso DNA questa storia di cura integrale. Non si limita alla terapia clinica del bambino malato, ma costruisce un sistema complesso di assistenza che coinvolge tutta la famiglia. I volontari, il personale infermieristico, il personale dell’accoglienza: tutti sono parte integrante di questo cammino. Gli infermieri, in particolare, rappresentano il motore umano dell’ospedale, coloro che riescono a intercettare i bisogni delle famiglie e dei piccoli pazienti. Un esempio emblematico è il Centro di cure palliative a Passoscuro, una realtà fondamentale. Lì si vede concretamente come l’accompagnamento sia pensato e vissuto: da tutto il mondo vengono a visitare questa struttura per imparare come abbiamo saputo istituzionalizzare una forma di assistenza così umana e profonda. A chi ha avuto l’intuizione di creare un centro simile va tutta la nostra gratitudine, perché sta portando sollievo vero in contesti di immensa sofferenza. Accompagnare, essere presenti, mai lasciare soli: questo è il principio. Mai soli”.

(Foto Siciliani – Gennari/SIR)
Ieri si è celebrato il Giubileo dei malati. Con quali sentimenti ha accolto l’arrivo in piazza san Pietro di Papa Francesco, alla sua prima uscita dopo il ricovero al Gemelli e il ritorno in Vaticano a casa Santa Marta?
“Quando abbiamo visto il Papa, ci siamo emozionati tutti. Eravamo presenti in tanti, tutto il Bambino Gesù, dai vertici aziendali ai medici, e ciascuno ha condiviso la stessa emozione intensa. Vedere il Papa, che sta vivendo in prima persona l’esperienza della malattia, è stato particolarmente toccante. Lui, caparbio e tenace com’è, è venuto da noi, ha compiuto quel piccolo giro, ci ha rivolto poche ma significative parole. È stato un momento di grande commozione. A lui vanno tutti i nostri auguri: il Papa è un uomo forte, davvero forte”.
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