

Giovanna Pasqualin Traversa
Il benessere della persona con autismo e/o disabilità è profondamente legato alla possibilità di trovare risposte di sostegno in linea con la vita desiderata. La costruzione del progetto di vita individuale consente infatti a queste persone di progettare, richiedere ed esigere i sostegni per la realizzazione della propria esistenza. Un progetto di vita pieno e soddisfacente deve però essere “personalizzato e partecipato”, si legge nel Decreto legislativo 62/2024 che mette al centro la persona non solo con la sua dignità e i suoi diritti, ma anche con i suoi sogni e desideri. Perché anche chi ha una disabilità e/o un disturbo dello spettro autistico può averne. Di questo si è parlato il 14 aprile a Roma, presso l’Istituto superiore di sanità (Iss), al convegno “Disturbi dello spettro autistico: i diritti delle persone”, promosso dal Servizio di coordinamento e promozione della ricerca dell’Iss e dal Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità della Conferenza episcopale italiana, guidato da suor Veronica Amata Donatello. Il disturbo dello spettro autistico rientra tra le prime tre condizioni di disabilità su cui è in atto la sperimentazione volta all’applicazione provvisoria e a campione delle disposizioni relative alla valutazione di base, alla valutazione multidimensionale e al progetto di vita. Tra le componenti di questo progetto “il contesto abitativo, l’occupazione lavorativa, la dimensione affettiva e relazionale, il tempo libero ma anche la spiritualità”, dice al Sir suor Veronica. A margine dell’evento abbiamo raccolto la sua voce e quella di due relatori.


Foto Calvarese/SIR
“Il convegno – esordisce suor Veronica Amata Donatello – è nato dall’idea di riunire insieme allo stesso tavolo più enti: Oms, centri di ricerca nazionali e internazionali, università, Asl, garante per la disabilità, per affrontare a 360 gradi tutti gli aspetti che fanno parte dell’esistenza di una persona: dal tempo libero alla dignità del lavoro, dall’affetto alle relazioni. Il 1° aprile di due anni fa, durante un incontro con il mondo dell’autismo, il Papa ci disse che la sfida era fare rete, altrimenti il progetto di vita non avrebbe mai preso corpo”. Ed oggi
“il valore aggiunto, molto bello, riconosciuto anche dall’Istituto superiore di sanità, è quello della dimensione spirituale che, presente anche nelle persone cosiddette ‘a basso funzionamento’, ne migliora benessere e qualità di vita”.
Sulla stessa linea lo psichiatra Marco Bertelli (Centro di ricerca e ambulatori – Crea) Fondazione San Sebastiano della Misericordia di Firenze, che al convegno ha parlato proprio di diritto alla spiritualità nell’ambito della costruzione del progetto di vita. “Evidenze scientifiche – ci spiega l’esperto – dimostrano come la dimensione della spiritualità delle persone con disabilità abbia un impatto positivo sulla loro qualità di vita perché ne migliora l’umore, si associa ad una maggiore accettazione della condizione di disabilità e ad una minore frequenza di co-occorrenze psicopatologiche e, più in generale, di problemi di salute mentale”. In genere si tende a pensare che una persona con autismo e/o disabilità, e tanto più questa disabilità è complessa, non avverta questa esigenza e non sia in grado di avere una vita spirituale. Non è affatto così, assicura Bertelli:
“La spiritualità non passa attraverso il canale dell’intelligenza logico-deduttiva, dunque, della razionalità su cui basiamo la definizione di disabilità intellettiva e di molti altri disturbi dello spettro autistico. Passa attraverso un tipo di intelligenza sostanzialmente diverso che noi chiamiamo intelligenza spirituale, intelligenza emotiva, intelligenza morale, che non implicano capacità logico-deduttive”.
Al riguardo esistono diverse esperienze. Bertelli sta conducendo una ricerca internazionale con colleghi in tutto il mondo finalizzata a “mettere a punto una prima tabella che includa una serie di indicatori di come anche dai comportamenti quotidiani di persone con disabilità intellettiva gravissima emerga l’importanza attribuita alla dimensione spirituale e la soddisfazione che ne deriva”.
Relazioni umane. “Quando facciamo una diagnosi utilizziamo ovviamente una metodologia scientifica validata dalle linee guida, però è importante
creare uno spazio fondato su un’autentica e profonda relazione umana
in modo che, sia la persona con autismo, sia la sua famiglia, trovino un luogo d’accoglienza sicuro emotivamente”. Così lo psichiatra Roberto Keller, responsabile del Centro regionale autismo adulti dell’Asl Città di Torino, al quale abbiamo chiesto che cosa sia il “diritto all’incontro con l’altro”, al centro del suo intervento al convegno. “A questo, che è la base – precisa -; occorre aggiungere la creazione di reti di servizi che possano collaborare fra loro: servizio sanitario, servizio sociale, scuola, enti di formazione lavorativa, enti sportivi”.
Un network efficiente a sostegno della costruzione del progetto di vita.
All’evento Keller ha presentato il modello realizzato a Torino e nella Regione Piemonte: “Oltre ad un centro multidisciplinare per l’età età adulta, in ogni città del Piemonte è stato creato per i minori e per l’adulto un nucleo multidisciplinare per l’autismo, proprio per sostenere le famiglie a livello territoriale, senza obbligarle a viaggi ed estenuanti trasferte, e finalizzato alla costruzione del progetto di vita”. In questo modo, inoltre, “ogni Azienda sanitaria locale ha il suo centro di riferimento”. Un altro punto di forza, prosegue lo psichiatra, “è la creazione di veri percorsi di vita”. Keller racconta di accompagnare i suoi ragazzi autistici in trekking di 15 giorni, oppure di trascorrere con loro 10 giorni in barca a vela. Con un duplice obiettivo: “Per noi clinici riuscire ad osservarli e conoscerli nella quotidianità”; per i ragazzi “creare dei gruppi di scambio affettivo”. “Pensi – racconta – che un paio di anni fa siamo riusciti e camminare con loro lungo la via Francigena fino a Roma e ad essere ricevuti in udienza privata dal Papa”. Tutto questo, chiosa, “serve a dare a questi ragazzi, spesso bullizzati a scuola ed esclusi, un rinforzo sociale, a farli sentire considerati, ad aumentare la propria autostima. In 15 giorni diventano persone diverse tanto che i genitori, increduli, ci chiedono che cosa abbiamo fatto. Utilizziamo certamente delle tecniche ma, soprattutto, offriamo loro un luogo di accoglienza, di supporto, di amicizia”. E’ importante, sottolinea l’esperto, “stare con loro, creare un ambiente affettivo, una relazione. Non ci si può arroccare in ambulatorio tra test e diagnosi;
occorre vivere con la persona e con la sua famiglia”.
Sono oltre 1.700 gli autistici adulti seguiti in tutta la regione, ma soprattutto di Torino. Fondamentale il lavoro multidisciplinare d’équipe: con Keller lavorano 25 figure tra psicologi, educatori, tecnici della riabilitazione. “Tutti bravissimi – assicura – altrimenti non si potrebbe fare nulla”. Oggi, gli diciamo, in medicina, anche negli ambiti di maggiore fragilità, spesso prevale ancora il tecnicismo. “Purtroppo – concorda lo psichiatra – si perde spesso di vista la base che deve essere la relazione umana. Ecco perché l’equipe deve essere motivata, seria, preparata, ma soprattutto umana”.
Nel Decreto legislativo 62/2024 sul progetto di vita si parla per la prima volta di sogni e desideri: una rivoluzione culturale. “Sì – risponde suor Veronica -. Finalmente si va oltre la visione riabilitativa e assistenziale ed entrano in gioco il diritto di scegliere, di prendere decisioni, di vivere la relazione con gli altri, anche il tempo libero. E questo è molto più complesso dell’offrire a tutti risposte omologate in base alla diagnosi”.
Il progetto di vita va insomma cucito intorno alla persona come un abito sartoriale.
“Oggi – conclude la responsabile del Servizo Cei -, a questo tavolo, attraverso dati scientifici sono stati illustrati passi avanti e buone pratiche da replicare anche in altri contesti. E la parola d’ordine, come ci ha indicato il Papa, è fare rete”.