Di Pietro Pompei
DIOCESI -È in quel momento che iniziano a scoprire sé stessi, gli altri, e i gradini invisibili su cui ci arrampichiamo, giorno dopo giorno, per dare un senso alla nostra esistenza. È il desiderio di capire, di penetrare il mistero dell’essere, che ci spinge a porre domande. E tra questi “perché”, per chi vive la fede cristiana, si incontra inevitabilmente un sepolcro vuoto. Un’apparente assenza che, invece, diventa certezza. Ma prima di quel trionfo, quanta sofferenza!
San Paolo esclama: “Felix culpa!”, beata colpa. Sì, per noi, certamente. Ma quanto è costata a Colui che l’ha redenta? Il trionfo di Gesù acclamato a Gerusalemme non cancellava dal suo volto la tristezza per l’incoerenza imminente del popolo, e persino dei suoi discepoli più vicini. Sentì, in mezzo alla folla in festa, la solitudine più profonda. E per chi non è fatto per restare solo, questa è la sofferenza più grande.
Questo sentimento fu al centro delle parole che mi rivolse, nel lontano 1942, il Vescovo Monsignor Luigi Ferri, di santa memoria. Era il giorno della mia prima comunione, quando fui unto con l’olio crismale. Ricordo la sua voce profonda, quasi tenorile, che ci esortava: “Siate sempre vicini a Gesù, sofferente per il male del mondo, come angeli del conforto.” Quelle parole, e la spiegazione che ne seguì, sono incise nella mia memoria come una luce che nessuna oscurità ha mai potuto spegnere.
Ogni Settimana Santa quell’“Angelo del conforto” ritorna nella mia mente e nel mio cuore, per consolare l’Uomo-Dio, solo e agonizzante nel Getsemani, sotto il peso della Passione e dell’ingratitudine. Gesù, pur potendo ricorrere alla sua divinità, scelse di accogliere la consolazione da un angelo anonimo, mandato per la più sacra delle missioni. E come ci diceva il santo Vescovo, quell’angelo continua ancora oggi il suo compito accanto al Tabernacolo, dove la Presenza divina ci attende nel silenzio.
Sono immagini sante che hanno accompagnato la mia vita, e che ogni Venerdì Santo si fanno presenza viva, memoria che consola.
Monsignor Luigi Ferri aveva l’abitudine, come amava dire, di “dare il cambio” la sera all’angelo che, secondo lui, vegliava accanto al Tabernacolo della cappella dell’episcopio durante il giorno. Testimonianze raccontano che spesso vi trascorreva intere notti. Fu lui a volere i Padri Sacramentini nella nostra città, testimoniando un amore profondo e concreto per l’Eucaristia.
Gli angeli, presenza discreta e costante, percorrono tutta la storia della salvezza, dall’Antico al Nuovo Testamento. Parlare di loro oggi può suscitare ironia o distacco, specialmente in certi ambienti intellettuali. Eppure, in una società lacerata da violenze, guerre, omicidi, sembra più facile riconoscere l’azione del “Maligno” che la presenza del Bene invisibile. E mentre la nostra fede rischia di disperdersi tra fantasie extraterrestri e sedicenti veggenti, dimentichiamo la silenziosa realtà degli angeli, che partecipano al mistero della salvezza.
In un prezioso libro di G. Gozzelino, “Angeli e Demoni” (Ed. San Paolo), si legge: “L’angiologia annuncia all’uomo che non è fatto per bastare a se stesso… Ricorda con forza che la superbia e l’egoismo sono le sue disgrazie più gravi, mentre l’umiltà e la carità ne sono le possibilità più alte.”
Nel disegno della creazione voluto da Dio, accanto alla libertà umana esiste quella di creature superiori: gli angeli. Chi, con fede e preghiera, si apre alla loro presenza, impara a vivere “in relazione” – con Dio, con i fratelli, con il mondo – diventando pienamente persona.
