
Abbiamo celebrato Venerdì Santo la morte di Cristo. Nel giorno di Pasqua possiamo domandarci che significato ha per noi la sua morte e la sua risurrezione. È un sacrificio necessario per placare l’ira di Dio contro noi peccatori? Il Figlio ha accettato di morire al posto nostro per evitare che la condanna ricadesse su di noi? Se pensiamo questo, allora dovremmo chiederci quale sia l’immagine che abbiamo di Dio. Dal momento che il Vangelo di Giovanni afferma che “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16), allora la croce non è un sacrificio di morte ma un dono di vita. La croce è il segno di un amore che supera ogni forma di odio, di violenza, di male e di morte. La morte di Cristo in croce non è solo la morte di un giusto a causa degli ingiusti, ma è vita e perdono donati per amore. Chi crede questo vive già una vita piena, cioè diventa capace di amare. E chi ama non muore, perché l’amore è eterno. Tutto scomparirà, come dice san Paolo ai Corinzi, la sola cosa che rimarrà è l’amore (cfr. 1Cor 13,8).
Credere e amare ci fanno vedere la realtà in modo nuovo: la morte diventa occasione di donare la vita per amore e non più un limite invalicabile che ci riempie di paura e ci rende incapaci di speranza e di gioia. Chi crede nell’amore ha la vita eterna.
Di conseguenza, tutta la nostra vita ci appare sotto una luce nuova e anche la croce non fa più paura. Anzi, alla luce della fede nell’amore di Dio e nel dono di vita del Figlio, le nostre piccole e grandi croci quotidiane non ci paralizzano più, e non possono più privarci della vita e dell’amore. Credere in Cristo significa credere che la croce e la morte non ci possono uccidere veramente. Ciò che ci uccide veramente è l’odio, la violenza, l’invidia, la rabbia, cioè il non saper amare. Gesù, morendo sulla croce, trasforma le ferite in feritoie da dove sgorga l’amore. Così anche le nostre croci non sono più un ostacolo ma un passaggio verso una vita nuova. Per seguire Gesù verso la pienezza della vita e dell’amore è necessario prendere la propria croce (cfr. Mc 8,27-35), cioè assumere la nostra storia, i nostri limiti, le nostre fragilità e i nostri fallimenti. Solo così tutto questo potrà essere trasformato in occasione di rinascita a una vita nuova, vera, capace di amare.
Ci sono varie croci nella nostra vita: la croce sulla quale ci inchiodiamo da soli, la croce sulla quale ci inchiodano gli altri e la croce sulla quale noi inchiodiamo gli altri.
La croce di Cristo ci dona la possibilità di trasformare tutte le nostre croci in occasioni di conversione e di amore. Rinnegare sé stessi, infatti, significa non vivere più inchiodati al nostro ego che crocifigge noi e gli altri, ma schiodarci dal nostro delirio di grandezza e discendere fino a scoprire nel profondo del nostro cuore il nostro vero sé. Amare, perdonare, trasforma la croce in albero della vita. Ecco il germoglio di Iesse, profetizzato da Isaia, che rinasce dalle radici recise dell’albero della croce e diventa l’albero della vita. Chi dona la sua vita per amore la salva. Chi non rimane aggrappato all’odio, al rancore, alla rabbia comincia a sentire il perdono e l’amore di Dio che dalla croce ci è stato donato. Dalla ferita al cuore di Cristo sono sgorgate acqua e sangue, segni della rinascita nel battesimo dello Spirito e nel sangue della vita divina. Così, nella Pasqua, Cristo ci permette di risorgere con lui, cioè di fare esperienza che l’amore di Dio è più forte della morte e dei nostri limiti umani. Con questa consapevolezza la nostra vita è liberata dall’angoscia e dalla paura, che sono la fonte di ogni chiusura, odio e violenza. È questa la vera risurrezione della quale il Cristo risorto ci rende partecipi.
Buona Pasqua di risurrezione a tutte e a tutti.
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