ARQUATA DEL TRONTO – In queste ore di dolore per la morte di Papa Francesco, numerosi sono i ricordi di chi lo ha sostenuto, di chi ha pregato per lui e di chi lo ha amato come Padre, tenero e premuroso, di una Chiesa sofferente e spesso in difficoltà. Vogliamo allora tracciare un ricordo di Papa Francesco attraverso la testimonianza di chi, nelle Diocesi del Piceno, ha avuto l’opportunità di incontrarlo anche solo una volta e magari di parlargli.
Iniziamo dall’incontro inaspettato e commovente con Berardino Camacci, Antonio Filotei e Rita Ciella, terremotati di Arquata del Tronto, che nel 2016 hanno incontrato Papa Francesco tra le macerie della cittadina marchigiana devastata dal sisma il 24 Agosto, neanche un mese e mezzo prima.
Era il 4 Ottobre, quando Bergoglio giunse ad Arquata del Tronto, dopo aver visitato anche Amatrice ed Accumuli. Il passo lento, gli occhi increduli, la sofferenza nel cuore: fu questa l’immagine di Papa Francesco che diede volto e voce ad una Chiesa che non abbandona i più fragili, che non lascia solo chi è in difficoltà, che è vicina a chi è disperato, che soffre con chi soffre e si fa compagna di strada.
Racconta Antonio Filotei, proprietario, insieme alla moglie, di un’azienda agricola e dell’omonima macelleria: “Il terremoto per noi è stato devastante, sia per le perdite umane sia per le conseguenze sulle nostre attività. Personalmente, oltre agli ingenti danni subiti dall’azienda, ho perso anche mio padre, Giuseppe. Quando Papa Francesco è venuto a Pescara del Tronto, si è fermato proprio sotto casa nostra, quella in cui abitavamo prima del sisma. La casa di mio padre, invece, era distrutta e mio padre non aveva retto al dolore, tanto che due ore dopo il terremoto, aveva avuto un infarto dal quale non si era più ripreso. Quando il Santo Padre è venuto nella nostra piccola frazione, nessuno sapeva nulla. In realtà la visita era prevista per il campo di Borgo, nel cuore di Arquata del Tronto. Perciò noi eravamo impreparati, non avevamo neanche lontanamente l’idea che potesse venire qui tra le macerie delle case e quelle del cuore. Eravamo io, mio fratello e un nostro amico che alloggiava temporaneamente da noi. Avevamo perso tutto, quindi, nonostante la bella notizia della visita di Papa Francesco, non eravamo andati a Borgo a vivere questo momento: volevamo evitare la confusione, il clamore e anche il ricordo di momenti terribili. E invece, all’improvviso, al centro della strada, si è fermata una Golf nera da cui è uscito quest’uomo completamente vestito di bianco, che ha iniziato a guardare quello che lo circondava. Ha passeggiato per un piccolo tratto nella nostra frazione quasi completamente rasa al suolo e poi si è incamminato verso di noi. Ci sembrava un sogno. Eravamo come sospesi nel tempo e non sapevamo né cosa fare né cosa dire, quindi siamo rimasti fermi lì dove eravamo, sul bordo della strada, immobili e in silenzio. Quando Papa Francesco ha incrociato i nostri occhi, si è commosso e anche i suoi occhi si sono riempiti di lacrime. Ci ha detto poche parole, ma molto incoraggianti: ci ha detto che sicuramente il Signore ci avrebbe dato la forza per andare avanti e ci ha spronato a non mollare e a coltivare la speranza. Io l’ho invitato a tornare in tempi migliori e lui ha sorriso. Le sue parole ci hanno dato speranza in un momento in cui avevamo perso tutto: familiari, amici, abitazioni, attività, oggetti e ricordi. Il terremoto ci aveva ricordato che non siamo altro che puntini infinitamente piccoli in questo universo grandissimo e che non contavamo poi così tanto. La sua visita, invece, ci ha fatto sentire che contavamo ancora qualcosa, ci ha restituito dignità e soprattutto speranza, come una sorta di linfa vitale fatta di coraggio, che ci ha permesso di continuare a vivere con un po’ di serenità, grati per quello che ancora avevamo. Appena è ripartito, mi sono sentito pieno di energie e ho subito condiviso con mia moglie, i miei figli e mia madre la gioia dell’incontro che avevo avuto. La sua visita a noi terremotati ha dimostrato ancora una volta che Papa Francesco era il papa degli ultimi, degli scartati, dei malati, dei poveri, di chi non conta nulla agli occhi degli uomini, ma conta tanto agli occhi di Dio. Me ne sono reso conto subito lì, al momento, ma a maggior ragione posso affermarlo oggi, a conclusione del suo Pontificato. Con Papa Francesco se ne va un uomo buono, un papa santo, ma soprattutto un punto di riferimento per tutta l’umanità, l’unico potente della storia che si è fatto prossimo a chi non aveva più nulla e che ha lottato fino all’ultimo per la pace, con le armi della misericordia, del dialogo e della tenerezza“.
A proposito di tenerezza, la signora Rita Ciella, che oggi ha 78 anni, ricorda: “Eravamo alla tendopoli di Borgo con il parroco di allora, don Francesco, e, quando il Papa ci è passato davanti, mi sono inginocchiata, ma al contempo ho alzato il viso per vederlo e lui mi ha fatto una carezza sulla guancia. Mi pare ancora di sentire il calore di quella carezza, che mi ha dato forza ed emozione. Guardandolo negli occhi, ho visto una grande sofferenza, come se stesse soffrendo con noi, per noi. In quello sguardo c’era tutta la compassione di cui un uomo può essere capace, come se anche lui fosse attraversato dal nostro dolore. Personalmente ero devastata: infatti, pur non avendo perso familiari stretti, tuttavia avevo visto morire gli amici più cari e avevo perso tutte le mie ricchezze, in particolar modo la casa che io e mio marito avevamo costruito facendo enormi sacrifici, andando a lavorare all’estero, in Canada, e facendo giorno dopo giorno delle piccole rinunce per risparmiare qualcosa. Mi sentivo vuota, ma quel momento è riuscito a riempire quel vuoto. Da quel momento mi sono sentita diversa, serena. Il Signore, attraverso Papa Francesco, mi ha fatto capire che, pur non possedendo più nulla, potevo ancora essere serena e felice. Io, peccatrice come ero, io che non capivo perché il Signore avesse permesso quella tragedia e mi disperavo, io che avevo perso i risparmi di una vita e tutto quello che avevo costruito con sacrifici e pazienza, io che mi sentivo persa e senza più prospettive, avevo ricevuto la carezza del Papa. È stato un momento di grande gioia che mi ha fatto comprendere che potevo ancora provare gioia. Una gioia e una serenità che durano ancora oggi, nonostante tutto”.
Quella di Antonio e di Rita è una testimonianza di quel seme di speranza piantato da Papa Francesco, di cui parla anche Berardino Camacci, un altro terremotato di Arquata del Tronto: “Ero a Borgo, quando Papa Francesco è arrivato e, appena sceso dall’auto, si è recato verso al tensostruttura montata dagli Alpini ed adibita a scuola provvisoria per i bambini. Mi ha molto colpito il suo gesto! Avevo più volte sentito dirgli in televisione che lo emozionavano i bambini e gli anziani, ma un conto è vederlo in tv e un conto è stato assistere dal vivo a quegli incontri. I bambini sono stati molto contenti, anche se non si sono resi conto del momento storico che stavano vivendo e dell’importanza che quell’incontro avrebbe rivestito nella loro vita e in quella della comunità. Gli anziani che stavano intorno alla tensostruttura, invece, sono stati veramente toccati dall’incontro con il Papa. Non ho potuto ascoltare quello che si sono detti, ma ho visto le carezze delicate, gli abbracci calorosi e gli sguardi di compassione che hanno completamente cambiato lo sguardo degli Arquatani. E ho constatato anche nei giorni successivi il coraggio che quell’incontro aveva messo nel cuore di ciascuno, come fosse stato un seme di speranza che nei mesi avvenire si è diffuso in tutta la comunità. Di lì a poco sono arrivate tra noi anche le Suore della Congregazione delle Figlie della Santissima Vergine Immacolata di Lourdes, che hanno fatto crescere quel seme di speranza gettato da Papa Francesco, fino a farlo diventare una pianta rigogliosa che ancora oggi, dopo 9 anni, continua a sostenerci, pur non essendo ancora rientrati nelle nostre case. Molti di noi vivono ancora nelle SAE (soluzioni abitative emergenziali), anche se l’emergenza è finita da tempo! Tuttavia le parole di allora di Papa Francesco e la vicinanza oggi del nostro vescovo Gianpiero (n.d.r. Palmieri) ci esortano a proseguire sulla via della resilienza, della solidarietà e della speranza. La comunità, infatti, sebbene non abbia ancora ricostruito le case, tuttavia ha ricostruito quei legami di collaborazione, sostegno reciproco e solidarietà che fa vivere, pur nelle difficoltà, comunque nella comunione e nella gioia”.
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