DIOCESI – Ieri, mercoledì 23 Aprile, alle ore 21:00, presso la chiesa cattedrale Santa Maria della Marina in San Benedetto del Tronto, si è tenuta una solenne celebrazione in suffragio di Papa Francesco. Per l’occasione la Cattedrale era gremita di fedeli per commemorare il Pontefice e pregare per lui.
La Santa Messa, presieduta dal Vescovo Gianpiero Palmieri, è stata concelebrata anche da numerosi sacerdoti della diocesi.
Durante l’omelia il Vescovo Palmieri ha affermato: “I racconti della risurrezione di Gesù e delle sue apparizioni ci insegnano che il Signore si lascia incontrare in persone e situazioni che all’inizio sembrano lontane, marginali, inattese. Nei Vangeli, Gesù appare come un viandante che cammina con due discepoli scoraggiati, come un forestiero che chiede da mangiare sulla riva del lago.
Gesù si manifesta in figure comuni, umili. Ma è lì che Egli si rivela. È lì che si fa riconoscere. Perché questo miracolo dell’incontro possa avvenire, perché possiamo riconoscere il Signore e farlo riconoscere anche agli altri, è indispensabile farci prossimi ai nostri fratelli.
Questo ce lo ha insegnato in maniera straordinaria Papa Francesco. Pensate che, rivolgendosi ai sacerdoti, già alcuni anni fa aveva indicato quattro direzioni fondamentali: a Dio, agli altri, al Vescovo e ai poveri. Queste dimensioni sono esse stesse Vangelo.
Farsi vicini agli altri, ascoltarli, è già Vangelo vissuto. È il Signore che si fa prossimo, che cammina con gli uomini nella verità.
Papa Francesco ci ha ricordato che la prossimità è uno stile, non un’opzione. Tante volte ha risposto a lettere dolorose, a situazioni umane complesse, con una chiamata, con un gesto, con una parola. Ha mostrato che non c’è un altro modo di evangelizzare, se non quello di entrare in relazione profonda, di attivare un dialogo umano, sincero, incarnato.
Per questo ha parlato anche con persone lontanissime da lui per sensibilità, scelte di vita, ideologie. Perché la prossimità è sempre possibile. E questa è una delle grandi lezioni del suo pontificato.
Tanta gente lo cerca, lo ha cercato, soprattutto in momenti difficili, come durante il tempo del Covid, quando ogni mattina milioni di persone cominciavano la giornata ascoltando la Messa celebrata da lui a Santa Marta.
C’è poi la dimensione della Parola di Dio. Quando la leggiamo con il cuore, con la verità della nostra vita, la Parola ci parla in modo diverso. Ci colpisce nel profondo, perché nasce da ciò che stiamo vivendo. E in quel momento, la Parola si illumina, diventa rivelazione, orientamento, luce sul nostro cammino.
Il Papa ci ha insegnato che ogni evangelizzazione parte da un incontro vivo con Gesù. Non da un’idea, ma da una persona. Solo chi ha fatto esperienza di Gesù può davvero testimoniarlo.
Questo vale per i cristiani, per i sacerdoti, per i religiosi e per le comunità intere. L’evangelizzazione non è trasmettere nozioni, ma è condividere l’incontro che ha trasformato la nostra vita.
Gesù si fa riconoscere nello spezzare il pane, nel vino condiviso, nella Parola ascoltata insieme. E da quell’incontro nasce tutto il nostro agire nella Chiesa.
Il Papa ci ha anche aiutati a capire meglio i grandi documenti del Concilio Vaticano II, che ancora oggi attendono di essere pienamente accolti. In particolare, ci ha richiamato alla Lumen Gentium, che ci ricorda che la Chiesa è Popolo di Dio, animato dallo Spirito Santo, e che cammina insieme nel discernimento, con i pastori al servizio del popolo, e non al di sopra di esso.
Ci ha poi riportati alla Gaudium et Spes, dove si parla del rapporto tra la Chiesa e il mondo contemporaneo. Non per chiudersi, ma per lasciarsi provocare dal grido del mondo, dai suoi bisogni, dalle sue domande, che sono spesso anche i luoghi dove Dio parla oggi.
Per questo il magistero di Papa Francesco è pienamente nella linea della continuità, ma anche della profezia. Egli non si è limitato a commentare i documenti, ma ha cercato di viverli, di incarnarli nel tempo presente.
Ricordo quando avevo invitato il Papa a visitare i pescatori di San Benedetto del Tronto e i terremotati che ancora vivono nelle casette. Quando gli ho consegnato la lettera, ha battuto la mano sul tavolo e ha detto: ‘Ci voglio andare!’. Purtroppo, poi, non è stato possibile, per motivi legati alla sua salute e agli impegni pastorali. Ma posso testimoniare la verità del suo desiderio di esserci.
Ecco perché dobbiamo imparare da questo stile di prossimità. Il Vangelo cade nel vuoto, se non si incarna in una relazione umana. Non possiamo più permetterci una fede disincarnata, teorica. Siamo chiamati a convertirci: come Chiesa, come laici, come preti. Convertirci nel senso di lasciarci toccare, cambiare, provocare dal Vangelo.
E allora, grazie. Grazie a voi, perché insieme possiamo continuare a testimoniare la bellezza di una fede vissuta, incarnata, prossima. Una fede che, proprio per questo, è profondamente umana”.