

Di Giovanna Pasqualin Traversa
Come il Buon Samaritano, Papa Francesco si è sempre chinato sui feriti della vita, sui più fragili, riservando loro un posto speciale nel suo cuore. Un posto speciale l’ha avuto anche l’Istituto Serafico di Assisi, centro d’eccellenza nella cura e riabilitazione di bambini, ragazzi e giovani adulti con disabilità complesse. Memorabile la visita compiuta dal Pontefice il 4 ottobre 2013. Ma qual è stato il rapporto del Papa con la fragilità? Lo abbiamo chiesto alla presidente del Serafico, Francesca Di Maolo.


(Foto Serafico/SIR)
Presidente, il vostro servizio è un sì alla vita pronunciato ogni giorno, per sottolineare il valore di ogni esistenza, anche la più fragile.
Il nostro è un centro sanitario per la disabilità grave, ma non abbiamo mai inteso l’attività di cura come un’attività tecnica, bensì come una relazione di cura, una missione concreta per difendere il valore profondo della vita e della dignità delle persone. Sappiamo che il nostro compito non si esaurisce tra le mura del Serafico, perché prendersi cura significa anche essere la voce di chi non ce l’ha. Da 154 anni il Serafico è impegnato quotidianamente per rendere piena la vita di bambini e ragazzi con gravi disabilità e quello che possiamo testimoniare è proprio questo:
nonostante il limite e la fragilità, una vita piena è sempre possibile se hai qualcuno accanto che sa riconoscerne il valore.
Il Papa ha costantemente mostrato grande attenzione e sensibilità verso il mondo della fragilità, della sofferenza e della disabilità, e grande impegno a sostegno delle vite più deboli e indifese condannando la cultura dello scarto…
Francesco ha dimostrato quest’attenzione sin dall’inizio del pontificato e lo ha fatto a partire dalla sua prima visita ad Assisi il 4 ottobre 2013, scegliendo di iniziare il suo pellegrinaggio sulle orme di san Francesco partendo proprio dal Serafico. Avevamo organizzato quella visita nei minimi dettagli. Papa Francesco avrebbe dovuto percorrere la navata centrale della chiesa, per poi sedersi. Io avrei dovuto rivolgergli il mio saluto e poi lui avrebbe pronunciato il suo discorso.


(Foto Serafico/SIR)
Invece, non appena entrò in chiesa e vide il primo ragazzo, stravolse tutto il programma.
Iniziò ad abbracciare uno ad uno tutti i bambini e i ragazzi presenti. Ci diede subito un chiaro segnale: prima le persone. Quel giorno lo seguii in quella processione di tenerezza e lui ci insegnò nei gesti, e poi con il suo discorso, come stare accanto.
Sostava davanti ad ognuno dei ragazzi con disabilità come se davanti a sé avesse qualcosa di sacro.
Si lasciava toccare il volto dai bambini non vedenti che lo volevano conoscere attraverso le mani. Si chinava sui più piccoli e i ragazzi in carrozzina per abbracciarli. Rimaneva ad ascoltare tutto ciò che avevano da dirgli. Ricordo che ad un tratto uno dei ragazzi afferrò la croce pettorale. Io intervenni subito per liberarlo da quella stretta, ma lui respinse il mio aiuto, dicendomi: “Oggi il tempo è tutto loro”. Rimase alcuni minuti chinato su quel ragazzo. Ci insegnò nei gesti cosa significa riconoscere l’altro e avere rispetto della vita. La pedagogia dei gesti ha sempre accompagnato il magistero di Papa Francesco, rendendo più forte il suo messaggio sul valore immenso della vita umana e della dignità della persona.
“Nella debolezza e nella fragilità si nascondono tesori capaci di rinnovare le nostre comunità cristiane”, disse nel 2016 incontrando i partecipanti ad un convegno per le persone con disabilità promosso dalla Cei. In base alla vostra esperienza, anche le persone più fragili possono sorprenderci?
Al Serafico il Papa ci disse che Gesù è presente nell’Eucaristia come nei nostri ragazzi:
(Foto Serafico/SIR)
“Qui è la Carne di Gesù”.
Penso che le persone più fragili possano ricordarci costantemente l’amore di Dio. Niente può convertirci profondamente come la relazione con una persona fragile. San Francesco lo aveva capito e scrisse nel suo testamento che si aprì all’amore solo dopo l’incontro con il lebbroso. Personalmente posso testimoniare che nessuna accademia, nessun testo, niente e nessuno mi ha avvicinata a Dio come l’incontro quotidiano con i ragazzi del Serafico.
“Non c’è vero sviluppo umano senza l’apporto dei più vulnerabili”, ha detto Francesco incontrando i ministri del G7 sulla disabilità dello scorso ottobre.
Se si vuole davvero andare nella direzione dello sviluppo integrale e sostenibile, dobbiamo maturare logiche inclusive in ogni ambito.
L’inclusione non è possibile senza coinvolgere i più vulnerabili a tutti i livelli, compresi i processi decisionali.
I sistemi economici attuali continuano imperterriti a porsi come obiettivo la crescita, ma una crescita impersonale. L’attenzione dei governi è continuamente incentrata sul Pil e su indicatori che non hanno a che fare con la crescita di tutte le persone e con la reale possibilità di ognuno di concretizzare diritti fondamentali come il diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro, e con la partecipazione alla vita politica ed economica del Paese. Dobbiamo essere consapevoli che le crescenti disuguaglianze non sono solo un problema etico e di giustizia sociale, ma un limite oggettivo alla crescita di un Paese.
L’inclusione ha bisogno di sollecitudine e premura per l’altro e del riconoscimento della dignità di ogni persona.
Ciascuno di noi può segnare una svolta nella vita del prossimo ed essere un ponte verso la libertà di esistere, curarsi, lavorare, studiare, vivere pienamente le relazioni familiari e di amicizia, praticare sport, esprimersi nell’arte e nei propri talenti.
- (Foto Serafico/SIR)
- (Foto Serafico/SIR)
Ritornando al 4 ottobre 2013, abbracciando i ragazzi il Papa vi ha detto: “Qui siamo tra le piaghe di Gesù: queste piaghe devono essere ascoltate”. Come vi ha interpellato e continua ad interpellarvi questa esortazione?
Le parole pronunciate quel giorno dal Santo Padre suggellarono i gesti che gli avevamo visto compiere accanto ai più fragili. Ci fu anzitutto chiaro che in ogni ragazzo con disabilità Papa Francesco riconosceva una presenza “sacra”. Ci spiegò, quindi, che nelle piaghe dell’umanità c’è Gesù. Ma cosa significava ascoltare le piaghe? Una piaga si medica, si cura, ma Papa Francesco ci chiedeva di ascoltarla. Ci stava dicendo che nella relazione di cura le persone sofferenti non sono l’oggetto della nostra attività, ma il soggetto della relazione.
Stava chiedendo alla Chiesa e alla società tutta di ripartire dall’ascolto dei più fragili.
Questo messaggio continua ad interpellarci: sappiamo che il nostro cammino non può essere studiato a tavolino o in astratto. Tutti i nostri programmi e le nostre azioni devono essere conseguenza dell’ascolto attento della vita.
Anche il Papa ha vissuto una condizione di grande fragilità, in particolare durante il suo ultimo ricovero ma anche nei giorni scorsi nei quali fino alla fine non si è risparmiato per salutare e benedire per l’ultima volta il “popolo santo di Dio”. Che cosa ci ha mostrato?
Che la fragilità fa parte della vita e non dobbiamo temerla o escluderla. Torno sulle sue parole al Serafico: “Gesù, quando è Risorto era bellissimo. Non aveva nel suo corpo dei lividi, le ferite… niente! Era più bello! Soltanto ha voluto conservare le piaghe e se le è portate in Cielo. Lui, dal Cielo, ci mostra le sue piaghe e dice a tutti noi, a tutti noi: Ti sto aspettando!”.