SAN BENEDETTO DEL TRONTO – In queste ore di dolore per la morte di Papa Francesco, numerosi sono i ricordi di chi lo ha sostenuto, di chi ha pregato per lui e di chi lo ha amato come Padre tenero e premuroso di una Chiesa sofferente e spesso in difficoltà. Vogliamo allora tracciare un ricordo del Santo Padre attraverso la testimonianza di chi, nelle Diocesi del Piceno, ha avuto l’opportunità di incontrarlo anche solo una volta e magari di parlargli.

Dopo il racconto della visita di Papa Francesco ai terremotati di Arquata del Tronto, fatto da Berardino Camacci, Antonio Filotei e Rita Ciella (clicca qui per leggerla: https://www.ancoraonline.it/2025/04/24/arquata-del-tronto-antonio-rita-e-berardino-ricordano-lemozionante-visita-di-papa-francesco-ci-ha-restituito-dignita-e-speranza/), riportiamo oggi la testimonianza di due volontari Unitalsi, Corrado Di Marco e Valentina Troiani che ricordano l’incontro di Papa Francesco con CeCè, al secolo Cesare Cicconi, un uomo divenuto tetraplegico a soli otto mesi, a seguito di una vaccinazione a cui era allergico.

Era il 19 Marzo del 2013, appena sei giorni dopo l’elezione di Bergoglio al soglio pontificio, e l’Unitalsi diocesana della Chiesa di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto aveva organizzato un viaggio a Roma per partecipare alla Messa di intronizzazione del Papa, cioè la celebrazione solenne che sostituisce la storica incoronazione papale (da qui il nome) e che ha un forte significato simbolico: segna l’inizio ufficiale del ministero di ogni nuovo Vescovo di Roma.

“Volevamo vedere il nuovo Papa e pregare per lui – racconta il volontario Corrado Di Marco che all’epoca accompagnò CeCè –, quindi, come era consuetudine per l’Unitalsi, portammo con noi alcuni malati e alcune persone con disabilità. Tra questi c’era anche CeCè, della parrocchia Cristo Re in Porto D’Ascoli, che all’epoca aveva cinquant’anni. CeCè era tetraplegico e aveva numerosi disturbi a livello fisico, tanto da non poter stare né eretto né seduto: trascorreva le sue giornate steso su un lettino. Nonostante le difficoltà fisiche, però, aveva una mente brillante e conversava con piacere con i familiari, gli amici e anche con i volontari che lo conoscevano. Quando arrivammo a Roma, ci dissero che All’Unitalsi era stata riservata la prima fila dietro alle transenne per poter osservare meglio il Pontefice al suo passaggio in papamobile. Possiamo quindi dire che si trattasse di un posto privilegiato rispetto ad altri fedeli. Ciò nonostante, però, mentre tutte le persone che erano sedute sulle carrozzine riuscivano a vedere con chiarezza quello che accadeva, purtroppo CeCè non poteva farlo, poiché, essendo disteso sul lettino, che era più in basso delle transenne, la sua visuale era coperta. Io ero un metro più indietro, ma, al momento del passaggio della papamobile, Valentina, la nipote di CeCè, mi chiamò, chiedendomi di sollevare suo zio, così da potergli far vedere il nuovo Papa. E così feci. Mai e poi mai avremmo immaginato che Papa Francesco, vedendolo, chiedesse all’auto di fermarsi per poter abbracciare CeCè. E invece fu proprio così!“.

La nipote, anche lei volontaria Unitalsi, che all’epoca aveva vent’anni e teneva la mano a CeCè, è Valentina Troiani, che oggi assiste i ragazzi con disabilità in una scuola del territorio e racconta: “Quando vidi che la papamobile si avvicinava a noi, mi venne in mente di sollevare mio zio, così da renderlo più partecipe di quello che stava accadendo, ma purtroppo da sola non ce la feci. Chiamai allora Corrado, che era nelle vicinanze, e gli chiesi di darmi una mano. Mentre era in braccio a Corrado e teneva a me la mano, zio CeCè ricevette la sorpresa più bella della sua vita: Papa Francesco chiese agli uomini che lo circondavano di fermare l’auto, poi scese e si avvicinò a noi e baciò sulla fronte mio zio, diede la mano anche a me e a Corrado. Alla fine tutti e tre gli dicemmo ‘Grazie’ e lui ci rispose, in maniera molto semplice, di pregare per lui. E chi se lo sarebbe mai aspettato! Chi avrebbe mai potuto immaginare che, in mezzo a tutta quella folla, Papa Francesco venisse a salutare proprio mio zio CeCè! E poi non mi sarei mai aspettata che chiedesse a noi di pregare per lui! Fu un’emozione grandissima, che al momento si tradusse in una gioia incontenibile, ma, essendo avvenuto tutto di fretta, non pensammo a quello che sarebbe accaduto dopo. Una volta che Papa Francesco ripartì, ci girammo e ci rendemmo conto che tante telecamere erano su di noi. Mia madre, Cinzia, era in valle di lacrime: piangeva di gioia e commozione per il gesto affettuoso che Papa Francesco aveva riservato a mio zio, cioè suo fratello. Un mese prima avevamo perso nonna Sandra, quindi la cura di mio zio CeCè era ormai tutta nelle mani di mia madre, la quale sentiva sulle sue spalle una grande responsabilità. Quel gesto, inoltre, le ricordò un altro bacio: mia nonna, anni prima, precisamente nell’Aprile del 1985, aveva portato mio zio CeCè a Loreto, insieme ai volontari e ai malati dell’Unitalsi, per incontrare Papa Giovanni Paolo II. In quell’occasione Wojtyla aveva salutato tutti i malati della fila in cui c’era mio zio e a lui aveva dato un bacio sulla fronte. Insomma, incontrare un Papa e ricevere un bacio da lui è una cosa che capita a pochissimi nella vita, ma addirittura incontrarne due ed essere baciati da entrambi è una cosa straordinaria!”.

Da lì in poi per CeCè iniziò una notorietà forzata, ma che portò tanto bene a lui e anche alla comunità parrocchiale e diocesana. Prosegue infatti Corrado: “Fu un momento molto emozionante, anche se tutto era avvenuto molto velocemente, presi dalla foga di quegli attimi. Dopo pochi minuti ci raggiunsero alcuni giornalisti e, dopo neanche un’ora, la foto di CeCè era già in rete. Ci fu poco tempo per riflettere sull’accaduto, ma nei giorni successivi ci rendemmo conto della straordinarietà di quel gesto e anche della grazia che il Signore ci aveva fatto vivere. Da lì in poi, nei mesi successivi, portammo la testimonianza dell’accaduto e della nostra vita da cristiani non solo in tv, ma anche nelle scuole e nelle parrocchie. CeCè raccontava la sua emozione nell’aver ricevuto l’abbraccio del Papa e, con la sua presenza, testimoniava che, pur nella malattia, si può essere felici e fare qualcosa per gli altri. Quando successivamente andammo a Lourdes, molti pellegrini lo riconobbero. CeCè è morto nel 2015, ma io non ho mai dimenticato quei momenti e il dono che il Signore mi ha fatto. Nelle varie foto che sono girate in rete, mi sono sempre chiesto cosa c’entrassi io con loro: CeCè meritava di essere al centro dell’attenzione vista la croce che ha portato per molti anni nella sua vita; il Papa lo meritava per via del ruolo che aveva; ma io? Mi sono risposto che Dio ha con ciascuno di noi un rapporto personale e che, per dimostrare il bene che ci vuole, sposta il mondo intero e fa’ in modo di incontrarci e farci comprendere la sua volontà. Io all’epoca avevo intrapreso il cammino neocatecumenale e alle mie orecchie era arrivata spesso la frase: ‘Andate in tutto il mondo ed evangelizzate ogni creatura’. Avevo anche fatto un mese di esperienza di evangelizzazione, ma, una volta terminata, mi ero chiesto cos’altro potessi fare. Nel giro di qualche settimana, mi giunsero le risposte che stavo cercando: prima venne, nella sede di Porto d’Ascoli, il presidente della sottosezione dell’Unitalsi diocesana, il quale ci lesse il primo articolo dello Statuto e spiegò che il volontariato è già un’opera di evangelizzazione; poi avvenne l’incontro di CeCè con Papa Francesco, che mi condusse nelle scuole, nelle parrocchie e in televisione. Questo era il contributo che il Signore voleva da me. E Papa Francesco, così come CeCè e tante altre persone, sono state gli strumenti di cui il Signore si è servito per farmelo capire“.
Oggi Corrado è sposato con Tonia, ha quattro figli, di cui uno con sindrome di Down, ed è in attesa del quinto figlio. Con la moglie e la loro numerosa famiglia, Corrado ha dato la disponibilità a partire per la “Missio ad gentes” e da circa un anno e mezzo sta preparando una missione in Francia, precisamente in Corsica, per evangelizzare in quella parte di mondo in cui il Signore lo ha chiamato.

Conclude Valentina: “I miei genitori si sono conosciuti nell’Unitalsi. Tutta la mia famiglia, sia materna sia paterna, ha fatto parte dell’Unitalsi. Io sono cresciuta in questo ambiente abitato persone speciali, ospiti e volontari che oggi sono diventati miei amici. Mio zio CeCè è stato l’esempio di vita più grande che io potessi avere in dono. Ha vissuto una condizione che non gli è venuta con la nascita, bensì a seguito dell’allergia ad un vaccino fatto in tenera età.  Nonostante abbia trascorso l’intera vita in una condizione limitante, tuttavia non ha mai vissuto la sua disabilità come un problema, bensì voleva essere trattato come tutti gli altri. Grazie a Corrado, Mario, Giusi e tanti altri volontari ed amici, ha fatto molte esperienze: partecipava alle feste organizzate dall’Unitalsi in parrocchia, andava con i volontari alle sagre e ai concerti nei paesi vicini, faceva delle passeggiate sul lungomare, ovviamente non in maniera autonoma, ma accompagnato dai suoi amici. L’incontro con Papa Francesco è stato il momento più bello della sua vita matura, quello che gli ha permesso di dare un senso ancora più compiuto alla sua vita. È stato come se si chiudesse un cerchio: mentre fino ad allora era stato un esempio solo per noi familiari e per i suoi amici, da quel momento in poi era divenuto, suo malgrado ma con piacere, un esempio anche per molte altre persone estranee che, senza quella improvvisa notorietà, non avrebbe mai potuto raggiungere. In una delle ultime interviste, rilasciata ad una emittente nazionale, mio zio CeCè disse: ‘La mia vita è bella!’. Mi piace immaginare che ora mio zio CeCè sia in Paradiso, avvolto dall’abbraccio di Papa Giovanni Paolo II e di Papa Francesco e, insieme, sorridendo, dicano a tutti noi: ‘Sorridete! La vita è bella!’“.

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