
“Il plebiscito di manifestazioni di affetto e di partecipazione, che abbiamo visto in questi giorni dopo il suo passaggio da questa terra all’eternità, ci dice quanto l’intenso pontificato di Papa Francesco abbia toccato le menti e i cuori”. È l’omaggio a Papa Francesco, tributato dal card. Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, all’inizio della sua omelia per i funerali in piazza San Pietro. “La sua ultima immagine, che rimarrà nei nostri occhi e nel nostro cuore, è quella di domenica scorsa, solennità di Pasqua, quando Papa Francesco, nonostante i gravi problemi di salute, ha voluto impartirci la benedizione dal balcone della Basilica di San Pietro e poi è sceso in questa piazza per salutare dalla papamobile scoperta tutta la grande folla convenuta per la Messa di Pasqua”, il ricordo di Re: “Con la nostra preghiera vogliamo ora affidare l’anima dell’amato Pontefice a Dio, perché gli conceda l’eterna felicità nell’orizzonte luminoso e glorioso del suo immenso amore”. “Nonostante la sua finale fragilità e sofferenza, Papa Francesco ha scelto di percorrere questa via di donazione fino all’ultimo giorno della sua vita terrena”, ha commentato il porporato: “Ha seguito le orme del suo Signore, il buon Pastore, che ha amato le sue pecore fino a dare per loro la sua stessa vita. E lo ha fatto con forza e serenità, vicino al suo gregge, la Chiesa di Dio, memore della frase di Gesù citata dall’Apostolo Paolo: ‘C’è più gioia nel dare che nel ricevere’”.
“Di fronte all’infuriare delle tante guerre di questi anni, con orrori disumani e con innumerevoli morti e distruzioni, Papa Francesco ha incessantemente elevato la sua voce implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, all’onesta trattativa per trovare le soluzioni possibili, perché la guerra – diceva – è solo morte di persone, distruzioni di case, ospedali e scuole”. È l’analisi contenuta nell’ultima parte dell’omelia del card. Giovanni Battista Re. “La guerra lascia sempre il mondo peggiore di come era precedentemente: essa è per tutti sempre una dolorosa e tragica sconfitta”, uno dei leitmotiv del pontificato di Bergoglio, insieme all’esortazione a “costruire ponti e non muri”: “un’esortazione che egli ha più volte ripetuto”, partendo dalla consapevolezza che “il servizio di fede come successore dell’Apostolo Pietro è stato sempre congiunto al servizio dell’uomo in tutte le sue dimensioni”.
“Ha più volte fatto ricorso all’immagine della Chiesa come ospedale da campo dopo una battaglia in cui vi sono stati molti feriti”, ha proseguito: “una Chiesa desiderosa di prendersi cura con determinazione dei problemi delle persone e dei grandi affanni che lacerano il mondo contemporaneo; una Chiesa capace di chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione, curandone le ferite”. “Innumerevoli sono i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei rifugiati e dei profughi”, l’omaggio del porporato: “Costante è stata anche l’insistenza nell’operare a favore dei poveri”. Poi la rassegna dei 47 “faticosi viaggi apostolici”, a cominciare da Lampedusa, passando per Lesbo, fino alla messa al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, in occasione del suo viaggio in Messico. Secondo Re, “resterà nella storia in modo particolare quello in Iraq nel 2021, compiuto sfidando ogni rischio in quel momento. Quella difficile visita apostolica è stata un balsamo sulle ferite aperte della popolazione irachena, che tanto aveva sofferto per l’opera disumana dell’Isis”. Con la visita apostolica del 2024 a quattro nazioni dell’Asia-Oceania, infine, il Papa ha raggiunto “la periferia più periferica del mondo”.
0 commenti