“La Shoah ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace. Vorrei esprimere la mia vicinanza ad ogni testimone della Shoah ancora vivente”: le parole di papa Francesco, qualche giorno fa, al Tempio maggiore di Roma inquadrano al meglio il significato del Giorno della Memoria, ormai radicato nella nostra vita civile. Per due ordini di motivi.
Il primo è che ricordare si deve. Di più: man mano scompaiono i testimoni, i sopravvissuti dell’Olocausto, dare testimonianza di un delirio inenarrabile è diventato un compito, un impegno collettivo, in tutto il mondo, perché planetaria è stata la barbarie nazista, l’idea di sterminare gli ebrei per affermare la purezza della razza.
Memoria dunque: delle vittime, dei carnefici e anche dei giusti che si opposero, che salvarono. E tra questi tante realtà ecclesiali. Perché, proprio dove c’è l’abisso del male, un male che sembra assoluto, c’è anche la realtà del bene. Così rendere omaggio alle vittime, condannare senza appello i carnefici e onorare i giusti è un esercizio politico, civico, morale, culturale e spirituale fondamentale, per tutti.
Non si potrà mai fare abbastanza per promuovere questa triplice, connessa memoria, per ribadire consapevolmente “mai più”.
E anche per affermare con sano realismo che, contro il male, travestito da ideologia e da politica, ci si può, ci si deve battere e, sia pure scontando sconfitte, sofferenze, anche la morte, si può vincere. Alla fine, uniti, si vince. Non c’è fortunatamente nulla di ineluttabile nella storia. Neppure quello che sembra e che è stato il male assoluto.
Non è un caso che il Giorno della Memoria sia proprio il giorno della liberazione del campo di Auschwitz. Facciamo memoria di chi, uccidendo scientificamente milioni di persone affermava un credo panteista e pagano, perseguitando il popolo ebreo perseguitava Dio nella storia. E ha perso. E ricordiamo che per farlo perdere è stato necessario lottare, con tutti i mezzi a disposizione.
Ritornando ogni anno, il Giorno della Memoria si colloca in una storia sempre nuova.
E’ la seconda considerazione. Oggi la realtà, sempre focalizzata in Medio oriente, ma “globalizzata”, è quella della “guerra mondiale a pezzi”, come l’ha definita, con sintesi penetrante, papa Francesco.
Ogni anno vediamo con raccapriccio sempre rinnovato, perché non ci si può, non ci si deve assuefare, i primi filmati girati da operatori increduli ad Auschwitz, ormai 71 anni fa, all’indomani della liberazione. Oggi tutto avviene in presa diretta: carnefici contemporanei uccidono, stuprano, schiavizzano, distruggono, in nome della religione, della razza. E godono nel farci vedere i particolari più raccapriccianti.
Se è vero che l’Olocausto ha degli elementi di assoluta particolarità, è altrettanto vero che contestualizzare ogni anno il Giorno della Memoria ci motiva a reagire, a batterci, sempre, nel presente, per la verità, la libertà, la giustizia e la pace. Che alla fine vincono.
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