Certe volte verrebbe voglia di non leggere i giornali, specie quando si parla di disoccupazione giovanile e di difficoltà, anche estreme, che in Italia gli stessi giovani incontrano per trovare un lavoro che risponda, almeno a grandi linee, a quanto hanno studiato alle scuole superiori o all’università. Ad esempio la scorsa settimana sono stati resi noti i dati Eurostat sulla disoccupazione giovanile nel nostro continente: tra i 15 e i 24 anni, cioè nell’età in cui il 60-70% dei ragazzi frequentano una scuola superiore e poi tra loro una metà circa si iscrive all’università, oltre al rimanente che si cimenta invece con i corsi di formazione professionali regionali e le scuole tecniche, da noi abbiamo un 37,9% di disoccupati. Vuol dire che 4 ragazzi e ragazze su 10 con un diploma o una laurea triennale “sono a spasso”, un po’ disperati, un po’ aiutati dalle famiglie a tirare avanti, sperando che prima o poi un posto salti fuori. Stanno peggio (questo non ci deve consolare, ovviamente!) Grecia e Spagna che hanno un tasso di disoccupazione giovanile rispettivamente del 48,6 e del 46%: in Grecia un giovane su due è senza lavoro, un vero dramma. Ma se siamo terz’ultimi nella graduatoria e non gli ultimi, c’è chi sta decisamente molto meglio: i primi infatti sono Germania (7%), Danimarca (10,3%), Austria (11,2%), Gran Bretagna (13,5%) e così via. Questo significa che in Germania meno di 1 giovane su 10 è disoccupato! L’Eurozona ha una media del 22% di giovani disoccupati, che è pur sempre metà della nostra. E questo ci dovrebbe far pensare, perché su 27 Stati, noi con Spagna e Grecia siamo agli ultimi posti. I “soliti” paesi mediterranei, qualcuno potrebbe dire, a cui piace fare la bella vita, godersi il sole! In realtà, se anche ci fossero fattori meteorologici che influenzano i comportamenti e le attitudini lavorative, la verità per cui da noi si fa così fatica a creare lavoro per i giovani forse risiede in un altro fattore di notevole portata: la nostra scarsa conoscenza della matematica e delle discipline scientifiche correlate.
Un ragazzo su quattro “non sa far di conto”. Infatti, come sempre nei giorni scorsi hanno attestato i risultati dell’ultimo rapporto Ocse-Pisa dal titolo “Low performing students, perché restano indietro e come aiutarli”, gli studenti italiani hanno sì fatto dei passi avanti rispetto solo a quindici-venti anni fa, ma rimangono pur sempre molto bassi nella graduatoria delle conoscenza matematiche. Il rapporto informa che mentre all’inizio del millennio il 32% dei ragazzi italiani non riuscivano a superare il livello 1 dei test Pisa in matematica, oggi sono calati al 24,7%. Un bel recupero, verrebbe da dire! Ma se ci pensiamo, significa che ancora oggi 1 ragazzo su 4 non sa far di conto, se non per le più basilari operazioncine, quali contare il resto o moltiplicare per due o per tre. Anche in questo caso, purtroppo, siamo in fondo alla classifica, perché risultati più scarsi dei nostri li raggiungono solo gli studenti di Grecia e Portogallo (di nuovo i soliti paesi “mediterranei”).
Terz’ultimi eravamo per la disoccupazione, terz’ultimi siamo anche qui sulle capacità matematiche.
La cosa è un po’ triste, e per verificarne la veridicità, provate a chiedere a un giovane di media cultura, o anche di livello universitario se saprebbe calcolarvi il montante finale di una polizza finanziaria ventennale che renda ogni anno il 4% fisso, cumulando di anno in anno l’interesse ottenuto. Pochi saprebbero rispondere con esattezza, e non parliamo in caso di calcoli più complessi o di conoscenze legate alle discipline statistiche, dell’econometria, della scienza delle finanze governata dalle procedure computerizzate e così via.
Risolvere equazioni fa bene. Questo è il punto, quindi: che da noi si studia poco e (forse) male la matematica sin dalle scuole primarie, considerandola una specie di scocciatura alla quale gli scolari e studenti debbono sottoporsi se vogliono essere promossi.
E’ raro trovare docenti (e anche genitori) che incoraggino i propri studenti (e i rispettivi figli) ad applicarsi con ardore a superare problemi, risolvere equazioni, sviluppare sistemi, applicarsi a test di complessità crescente collegati a fisica, geometria, calcoli quantistici e via discorrendo.
E invece sappiamo che in altre nazioni questi studi sono molto incoraggiati, anzi sono “spinti” dai governi per recuperare posizioni nei ranking mondiali del sapere. Basti pensare a India, Corea, Cina stessa e altre in via di sviluppo che incoraggiano enormemente gli studi matematici e scientifici, per non parlare degli sforzi di Stati Uniti, Gran Bretagna, paesi nordici per sostenere le applicazioni innovative, le start-up, i centri di ricerca più avanzati.
I “nuovi lavori” di cui il mercato ha bisogno. Insomma, sembra di poter dire che uno dei percorsi per rompere la morsa della disoccupazione giovanile consista proprio nel sostegno a queste scienze ostiche e che pochissimi ragazzi apprezzano al punto da volercisi laureare (non più del 5-7% del totale). Eppure, i nuovi lavori di cui il mercato anche italiano ha bisogno sono proprio principalmente quelli collegati a queste materie. Solo per fare qualche esempio: i “risk manager” che nelle banche, finanziarie e nelle società studiano approfonditamente i bilanci per scovare i punti di “rischio”, non sono dei semplici laureati in economia, ma debbono aver studiato discipline specifiche, dell’econometria legata ai calcoli statistico-informatici e alle stringhe di dati che si possono trarre dai server dei pc aziendali per capire cosa sta succedendo nei propri bilanci. Ancora possiamo citare il grande bisogno di ingegneri gestionali, fisici, esperti di robotica e applicazioni computerizzate, biotecnologi, nanotecnologi e nuovi materiali ecc. E che dire delle nuove professioni legate alla “rete” di internet e ai social network? Anche in questo caso si profilano lavori quali gli “architetti delle relazioni online” incaricati di aprire spazi di incontro dove i clienti di una società possano trovare risposte sempre più precise alle proprie esigenze di beni e servizi. Oppure il “community manager” che scandaglia la rete, vi inserisce la propria società e la fa diventare un protagonista ricercato perché in grado di attirare l’attenzione e di “fidelizzare” le persone. Altri esempi sono la nuova figura di difensore della “reputazione” di una azienda nella rete mondiale (e-reputation manager), oppure del “SEO – Search Engine Optimization), cioè colui che entra nei motori di ricerca e li studia per comprendere le strade migliori per una società che voglia raggiungere con rapidità e a colpo sicuro i propri utenti-target!
Dove sta andando il mondo. Per l’Italia, quindi, si tratta di rompere una specie di coltre di sicurezza, uscire dal limbo della nostra indubbia eccellenza nella cultura umanistica, storica e filosofica (oltre che religiosa), e gettare i nostri giovani nella mischia delle discipline matematiche-fisiche-statistiche e informatiche; o per lo meno incoraggiarli maggiormente a farlo. Perché se è certamente un bene difendere ciò che finora ci ha contraddistinto (il nostro amore per l’umanesimo), non dobbiamo tuttavia disprezzare e disinteressarci di dove sta andando il mondo (un’informatizzazione sempre più complessa e profonda).
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