Non poteva non esprime il suo punto di vista il cardinale Sean O’Malley su Il caso Spotlight, la pellicola vincitrice del premio Oscar 2016 come miglior film e miglior sceneggiatura. Il porporato, uno dei membri del C9, è doppiamente coinvolto dal lungometraggio di Tom McCarthy: sia come presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, istituita dal Papa nel 2014 per combattere il cancro della pedofilia e degli abusi nella Chiesa; sia come arcivescovo di Boston, proprio l’arcidiocesi al centro degli scandali di cui tratta il film che avvennero sotto la guida del cardinale Bernard Law, poi trasferito a Roma e di cui attualmente si sono perse le tracce.
In un comunicato pervenuto a ZENIT, il cardinale cappuccino afferma: “Spotlight è un film importante perché permette a tutti di avere un impatto con la tragedia degli abusi sessuali da parte del clero. Fornendo dei report dettagliati sulla storia della crisi degli abusi sessuali del clero, i media hanno portato la Chiesa a riconoscere i crimini e i peccati del proprio personale e cominciare ad affrontare le proprie debolezze, il danno arrecato alle vittime e alle loro famiglie e le esigenze dei sopravvissuti”.
“In una democrazia come la nostra, il giornalismo è essenziale per il nostro modo di vivere”, afferma O’Malley, che fu posto nel 2003 alla guida dell’arcidiocesi statunitense, esattamente un anno dopo dallo scoppio degli scandali. “Il ruolo dei media nel rivelare la crisi degli abusi sessuali ha aperto una porta attraverso la quale la Chiesa ha oltrepassato per rispondere ai bisogni dei sopravvissuti”, sottolinea nel testo.
Il porporato lo sa bene essendosi trovato di fronte ad un clero ferito e demoralizzato, a gente arrabbiata che trovava difficile fidarsi ancora delle autorità e che aveva abbandonato di colpo la Chiesa, facendo collassare anche i bilanci delle parrocchie e delle scuole cattoliche. Il cardinale volle, peraltro, risarcire con i soldi dell’arcidiocesi le vittime dei crimini, poi avviò una paziente opera di ricucitura che partiva dalla richiesta personale di perdono ed è proseguita con la creazione di nuove e più rigide regole, specie nella formazione del clero, fino alla diffusione di una “cultura vocazionale” utile anche alla prevenzione dei casi di abusi.
Tutto questo perché “proteggere i bambini e fornire assistenza alle vittime e alle loro famiglie deve essere una priorità in tutti gli aspetti della vita della Chiesa”, ribadisce il cardinale nel comunicato. Illustra quindi il lavoro attualmente condotto nell’arcidiocesi che, di fatto, riflette quello che pian piano sta cercando di costruire insieme ai 15 membri della Commissione vaticana per la tutela dei minori.
“Siamo impegnati in una vigile attuazione di politiche e procedure per prevenire il ripetersi della tragedia di abusi su minori”, dice, “queste includono programmi completi di educazione per bambini, controllo obbligatorio di eventuali precedenti penali e la sicurezza degli ambienti di formazione, segnalazioni obbligatorie e collaborazione con le autorità civili per quanto riguarda le accuse di abusi, la cura dei sopravvissuti e delle loro famiglie, attraverso l’Ufficio di sostegno pastorale”.
L’Arcidiocesi di Boston, aggiunge il prelato, “fornisce costantemente consulenza e assistenza medica per i superstiti e i familiari che cercano il nostro aiuto e restiamo saldi in tale impegno”. “Noi – soggiunge – continuiamo a chiedere perdono a tutti coloro che sono stati danneggiati dalla tragedia degli abusi sessuali del clero e pregare che ogni giorno il Signore ci guidi sul cammino verso la guarigione e il rinnovamento”.
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