Anche quest’anno è un pugno nello stomaco il Report sulla pedofilia e pedopornografia dell’Associazione Meter onlus, specchio di un abisso di perversione che non si arresta neppure di fronte a un neonato. A parlare sono i numeri del Rapporto 2015 presentato il 15 marzo a Roma, presso la Radio Vaticana: oltre un milione di foto (1.180.909) e 76.200 video segnalati, quasi 10mila (9.872) siti denunciati, oltre 2mila in più rispetto ai 7.712 del 2014. “Esplodono” i social network e gli archivi cloud – 3.414 le segnalazioni collegate contro le 180 del 2014 – ma anche la faccia oscura del deep web, sulla cui frontiera si gioca oggi la partita più dura del contrasto a un fenomeno in continua crescita. Sono 3.169 i protocolli inviati alla Polizia postale – Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia online (Cncpo) – nell’ambito del protocollo di collaborazione siglato nel 2008.
Numeri dietro i quali ci sono i piccoli volti e le storie di 700mila bambini violati: preadolescenti, ragazzini e addirittura neonati “abusati, torturati e ridotti in condizioni disumane”, spiega don Fortunato Di Noto, fondatore di Meter. La crudezza delle immagini renderebbe conto della drammaticità del fenomeno, ma l’associazione ha scelto di non pubblicarle per non incorrere nel reato di divulgazione di materiale pedopornografico. Si tratta però di sofferenze e ferite che lasciano cicatrici indelebili e “meriterebbero più attenzione da parte delle istituzioni e della società”, prosegue don Di Noto, facendo notare che i pedofili che pubblicano questi materiali online “restano spesso impuniti perché le leggi non sono uniformi, la giustizia di certe nazioni è poco incisiva, manca una cultura adeguata per la lotta alla pedofilia che si dovrebbe anzitutto tradurre in una difesa incondizionata dell’infanzia”.
“Vorremo – insiste il fondatore di Meter – far nascere vergogna e consapevolezza in tutti del fatto che poco o nulla si sta facendo per combattere lo sfruttamento sessuale dei bambini, la pedofilia e la pedopornografia”.
Per il sacerdote, occorre anche avere il “coraggio di denunciare l’esistenza delle lobby pedofile”, quei movimenti che tentano di giustificare con motivazioni pseudoscientifiche le relazioni sessuali tra adulti e bambini, “proliferano, raccolgono fondi e agiscono impunemente”.
Il triste primato dell’Europa. Ed è Il vecchio continente, si legge nel rapporto, a confermarsi “quartier generale di cultura pedofila”. Proviene infatti dall’Europa il 51,92% dei 2.265 domini di primo livello (quelli con “targa” nazionale del sito) rilevati. Segue l’Oceania con (21,39%), al terzo posto l’Africa con il 10,85%, quindi le Americhe (8,55%) e l’Asia (7,29%). Nel vecchio continente sono i domini targati .ru (siti con base in Russia), ad accaparrarsi la maggior parte delle segnalazioni, seguiti da Slovacchia, Repubblica ceca e Montenegro. L’Italia è al nono posto.
Ma è sul deep web – free zone sommersa della rete, difficilmente controllabile e pertanto ideale per nascondere i propri archivi – che i pedofili stanno gradualmente spostando i loro traffici, avverte Meter che la sta scandagliando da tempo.
Impressionanti i dati e la suddivisione per fasce d’età delle rilevazioni: 8.745 foto e 4.199 video di piccolissimi da 0 a 3 anni; 1.172.164 foto e 72.001 video di bambini 4-13 anni, grazie alle quali sono state avviate indagini in Italia e nel mondo portando a numerosi arresti.
Un appello e un decalogo. Nel 2015 il centro di ascolto e prima accoglienza di Meter ha seguito 73 casi, fornito 928 consulenze telefoniche, monitorato 56 chat, ma la lotta alla pedofilia online si gioca anzitutto sulla prevenzione. Pochi sanno che dopo la pubblicazione sui social senza adeguate impostazioni di privacy, foto e video diventano di pubblico dominio e possono venire manipolati e scambiati nel deep web. Per questo Meter rilancia l’appello alle mamme postato un mese fa dalla Polizia postale sulla sua pagina Facebook, estendendolo a tutti i familiari:
“Non diffondete le immagini dei vostri bambini sui social: sono il miglior regalo gratuito per i pedofili”.
Anche i minori vanno informati sui rischi che corrono sul web (adescamento online, cyberbullismo, sexting). Di qui i 125 corsi di educazione e formazione digitale promossi nel 2015 da Meter nelle scuole incontrando 9.029 studenti e 1.355 insegnanti, oltre agli incontri organizzati in associazioni e parrocchie. E per i giovanissimi c’è un decalogo: tra le regole l’invito a consegnare ai genitori la propria password e l’elenco degli “amici” con cui chattano, a non postare proprie foto o video, a non condividere dati personali e a non falsificare la propria età, ad avvertire i genitori se qualcuno propone loro incontri offline. Perché informazione, educazione e responsabilizzazione fanno rima con sicurezza.
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