“Il 50° posto dell’Italia nella classifica mondiale dei Paesi più felici ci deve stimolare e sono convinto che nel prossimo futuro i disappunti che ha sollevato determineranno un cambiamento”. Lo ha detto Stefano Zamagni, docente di Economia politica all’Università di Bologna, a margine dell’evento conclusivo della Conferenza internazionale sulla felicità. L’economista tuttavia condivide il giudizio negativo espresso sulla limitazione degli indicatori scelti per compilare la classifica. “La metrica su cui si basa – ha osservato – è di stampo anglosassone e come tale rispecchia una logica utilitaristica che fa confondere la felicità con l’utilità. Di conseguenza, quest’anno al primo posto vediamo la Danimarca ma se dico a un italiano che un danese è più felice di lui, si mette a ridere perché se c’è un Paese con un tasso di suicidi altissimo è proprio la Danimarca”. “Gli esperti internazionali intervenuti in questa Conferenza – ha aggiunto – si sono resi conto dell’importanza del Bes, l’indice del benessere equo e sostenibile introdotto da tre anni in Italia, e si sono detti disponibili a rivedere i criteri per misurare la felicità come i beni relazionali, ovvero l’amicizia o il matrimonio”. Il docente dell’ateneo di Bologna tuttavia non nasconde però che anche in Italia le relazioni stiano perdendo rilevanza a scapito di un aumento dell’individualismo: “Assistiamo – ha commentato – a un fenomeno che i Paesi anglosassoni attraversano da tempo. Lì la filosofia dell’individualismo libertario ha dimostrato tutti gli aspetti negativi e si sta cominciando a criticarlo. Da noi, essendo arrivato più tardi, ci accorgeremo in futuro che come approccio è fallimentare perché fa credere di essere liberi e pieni di utilità ma non dà la felicità”. “Quello che manca da noi – ha concluso – è una maggiore democrazia deliberativa che fa paura ai potenti perchè stimola i cittadini a controllare l’azione politica”.
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