“Forse – scrive Christian Bobin in ‘L’uomo che cammina’ – non abbiamo mai avuto altra scelta che tra una parola folle e una parola vana”.
E, premette lo scrittore francese, quelle folli non sono parole insensate. Sono parole che hanno un significato inatteso, parole da cui nasce il desiderio di una ricerca per incontrare risposte essenziali. Per incontrare la Risposta.
Attraverso la narrazione ha fatto nascere nella coscienza dei lettori e degli ascoltatori quell’inquietudine che attraversò e mutò la vita e il pensiero di sant’Agostino.
In questa avventura don Giuseppe ha giocato tutto se stesso come prete, come educatore, come giornalista.
Il libro cerca di raccontarlo non tanto perché lo sguardo del lettore si fissi su un testimone del passato ma perché si concentri su un testimone in cammino.
Un testimone che leggeva e raccontava le vicende umane, con le loro luci e le loro ombre, senza mai perdere di vista la meta ultima.
La concretezza e la complessità non erano ostacoli al guardare più in alto e più lontano.
Appare così il suo ritratto di giornalista che avvertiva la responsabilità professionale di raccontare con il linguaggio mediatico, la verità, la bontà e la bellezza.
Consapevole di essere “uno storico dell’istante”, come Igor Man definiva il giornalista, don Giuseppe Cacciami ha praticato e insegnato la fatica del pensare e dello studiare non come fatica in più ma come fatica che sostiene le altre. Il rigore della ricerca dello storico, a suo avviso, deve essere il rigore della ricerca del giornalista. Certo i tempi delle due ricerche rimarranno sempre diversi e per il giornalista conterà molto quel patrimonio umano culturale e spirituale che ogni giorno saprà coltivare dentro se stesso.
Dovrà, il giornalista, rispettare le regole, i linguaggi e i tempi della comunicazione mediatica ma non dovrà subirli e sacrificare ad essi la verità e la dignità della persona. Si tratta di inaugurare un linguaggio che, se ricorre a un vocabolario che contiene la definizione delle parole, consulta anche un altro vocabolario che contiene l’anima delle parole.
Don Giuseppe Cacciami conosceva entrambi e entrambi riteneva irrinunciabili per il lavoro giornalistico.
Amava un giornalismo grintoso perché il Vangelo non propone la tiepidezza e la mediocrità ma il coraggio e l’entusiasmo di vivere e pensare la fede come Incontro.
Gli “spilli” che scriveva su “L’Azione”, il motto “si lotta”, il prendere la parola negli incontri provocando “vibrazioni” in chi lo ascoltava ne sono una prova.
C’è infine un altro tema di riflessione che occorre richiamare: il rapporto con i laici.
Un grande rispetto, una grande stima, una convinzione profonda che la corresponsabilità non fosse una parola al vento ma un impegno da assumere da quanti avevano a cuore il bene della Chiesa e della Città.
Non ci sono sermoni o lezioni a questo riguardo. C’è molto di più. Ci sono comportamenti e gesti concreti che hanno cadenzato il cammino di questo prete sulle strade del suo paese e del mondo. Nel libro si possono trovare alcune tracce a partire da quella lasciata dalla grande amicizia con Giovanni Fallani.
È molto bello che sia stato così. È molto bello che ancora sia così perché don Giuseppe Cacciami, quest’uomo che ha camminato nel tempo e nell’eterno, ha sempre voluto comunicare la bellezza, la verità e il bene con la vita, prima che con le parole. O meglio ha fatto dell’una e delle altre un unico inno, cantato a pieni polmoni, a Colui di cui sempre è stato ed è innamorato folle.
0 commenti