CHIESA – Come ogni anno la liturgia, attraverso l’avvento, ci sta facendo rivivere l’attesa per la nascita di Gesù. Come ogni cosa umana questo momento può essere vissuto superficialmente o con profonda intensità.
Potrebbe capitarci di viverlo come una routine e questo, in un certo senso è normale, poiché siamo abituati a festeggiare la nascita di Gesù sin da quando siamo bambini. Ma potremmo vivere questo momento in modo molto più profondo, ricordando che alla nascita di quel bambino è legata la salvezza dell’umanità.
E come non guardare al Natale se non in questo modo viste le circostanze che viviamo negli ultimi mesi? Profezie dei Maya a parte, sembra veramente che stia incombendo la fine del mondo con ogni sorta di disastro: calamità naturali, recessione economica, instabilità politica, sopraffazione da parte dei poteri economici mentre i singoli cittadini sono soffocati dalle tasse e dalla burocrazia, scarso senso di sicurezza nelle nostre città e chi più ne ha più ne metta.
Forse mai come in questo frangente storico sentiamo come vere e pregnanti le parole dell’Apostolo Paolo: “Sapppiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto”.
Paolo ci parla della situazione di un dolore atroce, che ci attanaglia e che è di carattere cosmico, eppure parla di questa situazione di sofferenza come del dolore che si prova durante il parto, cioè di una sofferenza che sarà lenita dalla visione del bambino che sta per nascere.
Ecco allora che guardando il volto di Gesù bambino possiamo ritrovare la speranza per andare avanti ed è proprio nella speranza, scrive ancora l’Apostolo Paolo, che siamo salvati.
E forse è proprio della speranza che abbiamo bisogno in questo momento, abbiamo bisogno di una motivazione forte che ci spinga ad andare avanti, della certezza che, prima o poi, il bene trionferà, altrimenti nulla avrebbe più senso e saremmo destinati a cadere nella disperazione.
Ed è con questa speranza che la chiesa continua a ripetere: “Maranatà, vieni Signore Gesù!”
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