BoliviaArriva dalla Conferenza episcopale boliviana (Ceb) un duro e articolato documento, diffuso venerdì scorso, contro il narcotraffico e il suo sviluppo nel paese. Una piaga che cresce, secondo la Chiesa boliviana, anche grazie alla complicità di settori dello Stato e delle Forze dell’ordine, come è stato detto nella conferenza stampa di presentazione del documento, cui ha preso parte monsignor Aurelio Pesoa, segretario generale della Ceb. Nel documento, intitolato “Oggi pongo davanti a te la vita o la morte”, si legge: “Come è di dominio pubblico il narcotraffico, nella sua strategia di espansione e impunità, penetra anche nelle strutture statali e nelle forze dell’ordine, comprando le coscienze. La corruzione ha minato la credibilità delle autorità incaricate, ai livelli diversi, di lottare contro il narcotraffico, sia attualmente che nel passato”. Secondo la Ceb “nessuno sembra voler aprire questa pagina fatta si strane connivenze tra il lecito e l’illecito. Le denunce cadono rapidamente nella penombra e spariscono nel nulla, il che ci fa pensare che si tratti di problemi con molte gravi connotazioni che la nostra società non sa e, in alcuni casi, non vuole affrontare”. Eppure “il narcotraffico, causando un minor gettito fiscale e nel contesto di una corrotta amministrazione della giustizia, rappresenta un grave pericolo per la convivenza pacifica, la sicurezza dei cittadini, la sovranità dello Stato e lo sviluppo del Paese”. La denuncia dei vescovi è stata contestata dal ministro Carlo Romero, secondo il quale il documento pecca di falsità e approssimazione. La nota peraltro non affronta solo il tema del rapporto tra narcotraffico ed istituzioni, ma offre una lettura ad ampio raggio del fenomeno. “Il narcotraffico – scrivono i vescovi – è un crimine che attenta alla creazione di Dio, che ferisce la persone con particolare perversione i giovani e i minori”. Un crimine “che genera violenza, morte e disintegrazione familiare, destruttura la società, distorce l’economia e promuove la cultura dell’illegalità e della corruzione”. La Ceb sottolinea che la Bolivia è paese “produttore” e di “transito”, ma anche “consumatore” di droga. Tutti tre aspetti che danneggiano pesantemente il paese. “Il consumo tradizionale di coca, da tempi ancestrali – si legge ancora nel documento – ha un forte valore culturale e medicinale, specialmente per i popoli andini. La foglia di coca non è cattiva, ma lo è la sua trasformazione in cocaina e chi si dedica a coltivarla in vista della produzione di droghe illecite fa parte della catena del narcotraffico e su di lui pesa una responsabilità etica e penale ineludibile”.

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