Papa famigliaZenit, di Salvare Cernuzio

C’è un grande fermento a Lesbo, l’isola greca dove domani mattina giungerà Papa Francesco per una visita “umanitaria” ed “ecumenica” di neanche otto ore. Il viaggio, annunciato poco meno che una settimana prima, ha mobilitato tutte le forze presenti e ha scosso l’animo di tutti i migranti che su questa costa dell’Egeo hanno trovato rifugio dopo aver sfidato il mare in condizioni di precarietà. Come pure quello di coloro che quotidianamente operano in loco per il sostentamento di questa gente; Caritas e Jesuit Refugee Service in prima linea.

La storica isola, una lingua di mare celebre per aver dato i natali ai poeti Alceo e Saffo, è divenuta tristemente nota nelle cronache attuali per essere il capolinea meridionale della rotta balcanica, meta d’approdo di migliaia di rifugiati, provenienti in particolare da Siria e Iraq, ma anche da diverse regioni mediorientali.

La “porta d’Europa” l’ha definita qualcuno, da cui in questi mesi sono transitati – secondo le stime dell’Onu e delle Ong presenti – circa 2.500 profughi degli oltre 150mila sbarcati in Grecia. Per molti di loro “queste coste sono l’unico simbolo di speranza”, ha detto il cardinale Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.

Donne, uomini, anziani, bambini (molto spesso non accompagnati), cristiani e musulmani: a tutti loro il Papa vuole quindi esprimere solidarietà e vicinanza e riaccendere quella fiamma di speranza probabilmente spenta su un barcone o tra le onde del mare.

“Non c’è nessuna connotazione politica” in questo viaggio del Pontefice, diceva ieri padre Lombardi illustrandone il programma. Ma non si può trascurare il forte impatto che avrà sul panorama politico internazionale questo gesto del Vescovo di Roma, che giunge poco dopo il recente quanto controverso accordo UE che prevede il respingimento in Turchia dei migranti che sbarcano sulle sponde greche.

Un provvedimento che ha fatto crollare gli sbarchi dell’80% ma che ha anche aggravato la crisi umanitaria dentro i campi profughi. Secondo il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (Jrs), tale intesa “contravviene al dettato della legge internazionale nonché viola il principio di non-respingimento delle persone bisognose di protezione”.

Allora la visita di Bergoglio vuole essere uno schiaffo o perlomeno una critica a questa Europa che già a Strasburgo aveva definito “vecchia” e “stanca”? Probabilmente no, perché nel cuore del Papa c’è la gente non i sistemi; ma lo sarà ugualmente perché il solo fatto che il capo della Chiesa cattolica universale prenda un aereo per dare sostegno ai reietti del mondo è segno che la direzione presa da paesi come l’Austria o l’Ungheria non è quella giusta.

Sicuramente, poi, il Pontefice nei due discorsi di domani farà appello alla coscienza collettiva, richiamandola alla solidarietà e all’accoglienza. Padre Thomas H. Smolich, direttore internazionale del JRS, dichiara infatti: “In un tempo in cui i respingimenti sembrano essere la soluzione avanzata dall’UE, ci auguriamo che la visita del Papa non rappresenti soltanto un segno di speranza per i rifugiati, ma costituisca uno stimolo concreto al governo greco e agli altri stati europei perché concretizzino nella pratica quella stessa speranza”.

In questo arduo compito Francesco non è solo: accanto a lui ci sono il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo e l’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Hieronimus. Anche questo un segno di forte valenza simbolica, come a dire che tutte le Chiese si riscoprono sorelle di fronte ai drammi dell’uomo, mettendo da parte ogni divisione.

Non a caso Hieronimus è arrivato già da poche ore a Lesbo, e in serata – come riferito dal sito dogma.gr – avrà un incontro privato con il Patriarca ecumenico Bartolomeo, che giungerà invece alle 20, nel tentativo di normalizzare le non facili relazioni tra le due Chiese. 

Questo spirito ecumenico lo hanno invece già guadagnato tutti i cooperanti attivi sull’isola per offrire servizi a quanti sono nel bisogno, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa od origine nazionale. I gesuiti collaborano, quindi, con gli anglicani, col gruppo ecumenico ‘Churches Together’ e con l’Esercito della Salvezza, per offrire ricovero e assistenza. E con l’organizzazione ortodossa Apostoli forniscono cibo, indumenti e beni di prima necessità ai rifugiati che si trovano in campi, carceri, centri di detenzione e altri siti in territorio greco.

Da parte sua la Caritas Hellas – come informa la Radio Vaticana – grazie a fondi della Caritas tedesca, austriaca e svizzera, riesce a dare ospitalità a più di 200 rifugiati. I “casi più vulnerabili”: disabili, bambini piccoli, donne incinte, anziani, persone ammalate, seguiti da assistenti sociali, da legali che spiegano loro i diritti. 

“Nessuno sceglie un percorso così rischioso soltanto per andarsene da casa, a meno che non ne sia costretto” dice infatti Iva, giovane croata che lavora con il JRS presso i rifugiati in transito attraverso la Grecia. “Vediamo ottantenni e oltre, persone su sedie a rotelle… Vogliono scoprire se sono fortunati abbastanza da sfuggire a una situazione di morte certa per una probabilità di sopravvivenza. Definirli migranti economici e impedire loro di attraversare le frontiere vuol dire semplicemente chiudere gli occhi di fronte a problemi che esistono ormai da innumerevoli anni”.

La speranza è allora che Francesco riesca laddove la politica e l’umana pietà sembrano invece aver fallito.

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