Un’ondata di proteste, scioperi e manifestazioni in piazza sta scuotendo da giorni la Francia. Il Paese sta urlando tutta la sua rabbia contro un progetto di legge che riforma il sistema lavoro e che è stato approvato per decreto dal Parlamento. E’ la legge El Khomri, dal nome della ministra del Lavoro, Myriam El Khomri. Una riforma che qui in Italia è stata presentata come il Jobs act francese perché per alleggerire il peso amministrativo e fiscale delle imprese e favorire così la ripresa economica, riduce le garanzie per i lavoratori, in particolare liberalizzando i licenziamenti e introducendo deroghe peggiorative ad orari e livelli salariali.
Parigi, Rennes, Montpellier, Tolosa. Nella capitale, a Montparnasse, si è assistito nei giorni scorsi a vere e proprie scene di guerriglia: i giovani hanno lanciato pietre contro la polizia, che ha risposto con i lacrimogeni. In tre mesi di manifestazioni, 1.300 persone sono state fermate dalle forze dell’ordine. In piazza sono scesi anche anarchici, militanti di movimenti autonomi, black block.
Un clima di tensione che purtroppo è rivelatore di “una esasperazione di fondo” che serpeggia nella società francese.
Monsignor Jean-Luc Brunin è vescovo di Le Havre e guida il Consiglio episcopale “Famiglia e società”. “Le persone – dice – non vedono prospettive per il futuro e soprattutto non vedono che si stanno prendendo decisioni in grado di far uscire il Paese dalla crisi. La legge El Khomri ha cristallizzato su di sé tutte le contestazioni e le esasperazioni che sono maturate nella popolazione in questo periodo”.
Quello che si contesta al governo è il “metodo” adottato per l’approvazione della legge, e cioè la mancanza di dialogo sociale. “Ci sono elementi positivi nella legge – osserva Brunin – ma altri che meritavano precisazioni e negoziazione; il dialogo con le parti sociali avrebbe dovuto precedere l’approvazione del testo di legge. E invece lo Stato ha lavorato da solo, chiedendo solo dopo una discussione. Credo che da questo venga l’esasperazione di oggi”.
“E’ come se si fosse aperta una breccia dalla quale ora passa il flusso della rabbia”.
Gli elementi positivi della legge sono quelli che permettono di alleggerire il peso amministrativo e fiscale delle società. Sono pesi che hanno fino ad oggi ostacolato lo sviluppo e la crescita delle aziende.
Ma ci sono purtroppo anche elementi che sono percepiti come un attacco frontale ai lavoratori e ai loro diritti. Tra i provvedimenti criticati spiccano il licenziamento economico più agevole (non sarà più necessario per le imprese motivare la decisione con un conclamato stato di crisi). La diminuzione al 10 per cento, dall’attuale 25, della quota di salario aggiuntivo pagata per le ore supplementari. Il forfait giornaliero per il calcolo dei riposi compensativi legati alle 35 ore settimanali, anziché il puntuale computo delle ore di straordinario effettivamente lavorate.
Due sono i messaggi che in questa situazione di crisi, la Chiesa di Francia richiama: il primo è un no deciso alla violenza. Il secondo è un appello alla ripresa del dialogo tra tutte le parti, che può anche prevedere il ritiro della legge per rimetterla sul tavolo delle trattative.
“La Chiesa – scandisce Brunin – dice con forza che la violenza non è accettabile perché mette a rischio la sicurezza delle persone”.
Il secondo messaggio è che “da questa situazione si può uscire solo con la via del dialogo. Dialogo innanzitutto tra parlamentari, perché il governo ha scelto di far passare la legge per decreto, nella procedura prevista dalla Costituzione chiamata 49.3 che è apparso come un atto di forza. E dialogo con le parti sociali”.
La ripresa del “cammino della negoziazione” può prevedere – aggiunge il vescovo – anche “il ritiro del progetto di legge per rimettere il testo sul tavolo della negoziazione attorno al quale possano sedersi tutte le parti”.
E conclude: “bisogna creare le condizioni favorevoli perché le imprese possano crescere, ma bisogna anche prevedere salari giusti e garanzie di impiego ai lavoratori. Ritiriamo la legge, mettiamo il testo al tavolo del dialogo e discutiamolo punto per punto con tutte le parti”.
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