FerraraDi Giovanna Pasqualin Traversa

L’orrore di Caivano, teatro per anni di abusi e violenze su piccole vittime incapaci di difendersi, in questi giorni sotto la luce dei riflettori per l’arresto del presunto assassino di Fortuna Loffredo, scoperchiato dal coraggio di altri bambini allontanati in tempo dalle loro famiglie. Già, perché, come ci spiega il professor Pietro Ferrara, dell’Istituto di Clinica pediatrica dell’Università cattolica del Sacro Cuore, referente nazionale per maltrattamento e abuso della Società Italiana di pediatria (Sip) e giudice onorario del Tribunale per i minorenni di Roma, sono proprio le mura domestiche il luogo in cui si consuma la maggior parte degli abusi sui minori,

mentre queste famiglie “negano tracce, anche evidenti, di violenza, e tentano in tutti i modi di sviare l’azione di chi vorrebbe intervenire a tutela del bambino”.

Ferrara è responsabile per la Sip del primo progetto al mondo per la creazione di

una rete antiabuso di 15mila pediatri e medici di base “sentinella”, in grado di intercettare i segnali di disagio inespressi delle vittime di maltrattamenti.

“Una vera emergenza sociale”, assicura citando i circa 70-80mila bambini e adolescenti che ne sono vittime ogni anno nel nostro Paese, secondo i dati di una recente indagine di Telefono azzurro e Doxa kids. “Solo la punta di un iceberg”, e nel 70% dei casi i “carnefici” hanno il volto di familiari o amici.

Nei giorni scorsi è partito il progetto “Medici sentinelle”, lanciato dal Gruppo Menarini in collaborazione con Telefono azzurro, Società italiana di pediatria, Federazione italiana medici pediatri (Fimp) e Associazione ospedali pediatrici italiani (Aopi), sostenuto dalla multinazionale fiorentina con un investimento di circa un milione di euro. Due le fasi: la prima, già avviata, è il “train the trainers” e prevede la formazione di 1.200 pediatri che attraverso 23 corsi intensivi in tutte le regioni italiane saranno “addestrati” a riconoscere segni che potrebbero nascondere situazioni di difficoltà, Sos “in codice” lanciati dai piccoli.

Questo team di “sentinelle” costituirà “il punto di riferimento sul territorio cui potranno rivolgersi circa 15mila, tra pediatri e medici di base, che abbiano il sospetto di episodi di abuso su minori”, spiega Ferrara.

Coinvolti i 13 principali ospedali pediatrici come sede dei corsi di formazione e centri di riferimento sul territorio per affrontare l’emergenza e la fase di recupero successiva all’intervento. Necessaria, aggiunge Luigi Nigri, responsabile del progetto per la Fimp, la costituzione di

“una rete di supporto tra pediatria locale e realtà ospedaliera, che coinvolga anche forze dell’ordine, magistratura, servizi sociali e comunità di accoglienza”.

Proprio lo scorso fine settimana (6 – 8 maggio) si è tenuto a Roma il primo incontro di formazione di 30 pediatri, provenienti da tutte le regioni, condotto da un team di cui fa parte lo stesso Ferrara con il presidente di Telefono azzurro Ernesto Caffo, ed altri esperti. Questi primi pediatri, insieme ai loro formatori, terranno i 23 corsi intensivi per gli altri 1.200, in programma entro febbraio 2017. “Per le famiglie sane – sostiene Ferrara – i pediatri sono una figura fiduciaria. E’ a loro che dovrebbero rivolgersi i genitori che sospettino un caso di abuso sui figli. A loro volta, questi medici devono imparare a riconoscerne i segnali. Ad oggi manca una formazione specifica”.

Che cosa dovrebbe mettere in guardia genitori, insegnanti, adulti di riferimento?

Ogni cambiamento improvviso nel bambino. Bisogna tenere gli occhi aperti. I segni fisici di maltrattamento – ecchimosi o ustioni – non sono più visibili dopo alcuni giorni; quelli di abuso sessuale – abrasioni o lacerazioni dei tessuti – scompaiono dopo due /tre settimane, ma le ferite psicologiche fanno molta fatica a rimarginarsi, e a volte provocano danni irreparabili. Bisogna fermare queste situazioni in tempo.

Quali i campanelli d’allarme da non sottovalutare?

Improvvisi cambiamenti di comportamento e umore, tendenza all’isolamento, calo di rendimento scolastico, timore apparentemente immotivato di qualche persona, ‘atteggiamenti’ sessuali inappropriati, disturbi nel comportamento alimentare e del sonno, atti di autolesionismo.

Ma per Ferrara c’è di più: “Occorre fare prevenzione sulle famiglie a rischio, e fattori di rischio sono povertà, abuso di alcol e sostanze”. Molte violenze su neonati sono causate dalla depressione post partum delle mamme: “Bisogna seguirle e insegnare loro anche a gestire il pianto neonatale, spesso causa scatenante di grave maltrattamento”. E a rischio perché più indifesi sono i piccoli disabili. In tutti questi casi

“non si può più aspettare il bambino in ambulatorio

per il controllo periodico al quale magari non verrà mai portato; è il pediatra che deve cominciare a uscire sul territorio”.

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