Di Federico Cenci
“Il denaro non è altro che carta, il nostro lusso è la famiglia”. Una simile dichiarazione non è uscita dalla bocca di un genitore impegnato a far quadrare i conti a fine mese, bensì da un calciatore professionista, di quelli che ricevono stipendi da nababbi e sono abituati a vivere nell’agiatezza e nella notorietà.
Condizione da privilegiato che non ha distolto lo sguardo di Granit Xhaka dai valori che davvero contano nella vita. Appena acquistato dalla squadra londinese dell’Arsenal per la considerevole cifra di 45 milioni di euro, il giocatore albanese naturalizzato svizzero ha firmato un contratto da oltre 5 milioni a stagione.
Cifre da capogiro. Come da capogiro devono essere state le emozioni che hanno attraversato gli animi di mamma e papà Xhaka sabato scorso, sugli spalti dello stadio di Lens, in Francia, quando hanno assistito al confronto tra i loro due figli.
Paradossi della globalizzazione. Granit e Taulant, pur essendo fratelli, giocano infatti con Nazionali di calcio differenti. Il primo dei due, il 24enne neoacquisto dell’Arsenal, impreziosisce il centrocampo degli elvetici, mentre Taulant, più grande di un anno, ha deciso di rispondere alla convocazione della loro nazione d’origine, l’Albania.
Nel “derby di famiglia” che si è disputato all’esordio degli Europei di calcio in Francia, ha prevalso la Svizzera di Granit (imbottita di giocatori d’origine balcanica), uscita vincente dal confronto con l’Albania per 1 a 0.
Ciò che resta non è tuttavia il risultato della partita, ma il messaggio etico dei fratelli Xhaka, forse in controtendenza rispetto al mondo patinato del pallone.
La loro storia è un po’ quella di migliaia di altri albanesi nella prima meta degli anni ’90: emigrati a cercar fortuna nei Paesi occidentali. La vicenda della famiglia Xhaka ha però un aspetto peculiare. Il padre era un indipendentista kosovaro, fuggito in Svizzera come altri 200mila suoi corregionali, ma dopo aver passato tre anni e mezzo in prigione per motivi politici.
Un tale bagaglio d’esperienza lo ha trasmesso ai propri figli, i quali hanno nella grinta e nell’inclinazione a non arrendersi mai le loro doti. Lo scorso anno Granit giocò l’ultimo mese di campionato con la costola rotta, pur di non lasciare i suoi compagni di squadra del Borussia Monchenglandbach, in Germania, da soli a competere per ottenere la qualificazione in Champions League. Solo a stagione terminata, si riposò e si curò dall’infortunio.
Quella stessa determinazione l’ha dimostrata dinanzi alle critiche dei tifosi albanesi, che in passato lo hanno tacciato di essere un opportunista per aver scelto di giocare con la Nazionale svizzera. “Mi hanno dato del traditore e li capisco – disse -. Loro conoscono le mie origini, non la mia storia. Sono nato e cresciuto in Svizzera e lì mi sono formato. La Nazionale albanese non mi ha mai cercato”.
Malgrado le polemiche dovute all’appartenenza sportiva, in casa Xhaka le radici restano molto solide. Specie quelle familiari. I due fratelli calciatori lo dimostrano con un gesto concreto, tenendo per loro soltanto il 20% dello stipendio. “Il resto lo giriamo ai nostri genitori”, ha raccontato, come riporta la Gazzetta dello Sport, Granit.
Che con parole semplici ne spiega il motivo: “Se lo meritano, nell’educarci hanno messo tutta la passione del mondo trasmettendoci valori importanti”. Del resto troppi soldi possono dare alla testa. Ne è consapevole Granit, il quale fa una professione di responsabilità che fuga lo stereotipo del calciatore viziato e immaturo: “Siamo giovani e ingenui – dice -. I soldi come arrivano possono anche andarsene. Dobbiamo tutto ai nostri genitori, così restituiamo loro qualcosa”.
Per Granit “se qualcuno pensa di valere di più perché ha più soldi in banca, può restare fregato rapidamente. Il denaro non è altro che carta, il nostro grande lusso è la famiglia”.
Un “lusso sobrio”, che si traduce in uno stile di vita diverso da quello di gran parte dei loro colleghi. “Non sono un appassionato di macchine sfarzose – afferma Granit -, non spendo nemmeno 20 o 30 mila euro per le ferie. Io continuo ad andare in vacanza in Kosovo, dove vedo gente che ha nemmeno sempre da mangiare. Queste cose mi colpiscono e mi fanno capire quanto me la passo bene”. Un bagno di sano realismo, che traccia sul profilo di Granit Xhaka e di suo fratello uno spessore umano che va al di là degli stereotipi.
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