cardinali entrataIl prossimo lunedì 20 giugno, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico, Papa Francesco presiederà la celebrazione dell’Ora Terza e il Concistoro Ordinario Pubblico per la canonizzazione di cinque Beati, vissuti a cavallo tra il ‘700 e il ‘900: il lasalliano Salomone Leclercq; i sacerdoti Lodovico Pavoni e Alfonso Maria Fusco; il vescovo di Palencia, Manuel González García e la monaca carmelitana Elisabetta della Santissima Trinità.

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Salomone Leclercq, al secolo Guillaume-Nicolas-Louis Leclerq, 47 anni, appartenente ai Fratelli delle Scuole Cristiane, fu il primo lasalliano a subire il martirio durante la persecuzione avviata dai fautori della Rivoluzione Francese contro la Chiesa cattolica, dopo l’abbattimento della monarchia capitingia, intorno alla fine del ‘700. Nato a Boulogne-ser-Mer il 15 novembre 1745, allo scoppio della rivoluzione era segretario di Fratel Agathopn, superiore Generale dell’Istituto delle Scuole Cristiane, dopo essere stato insegnante, direttore ed economo. Incarichi svolti sempre con grande amore per le anime e dedizione ai propri doveri. Avendo rifiutato di prestar giuramento di fedeltà alla Costituzione, come imponevano i persecutori, si trovò a vivere da solo a Parigi in stato di clandestinità. Il 15 agosto 1792 fu poi arrestato e rinchiuso nel convento dei carmelitani di Parigi, riorganizzato come prigione, con numerosi altri compagni. Il 2 settembre seguente quasi tutti i prigionieri, tra i quali Fratel Salomone, furono massacrati a colpi di spada nei locali e nel giardino del convento. Furono beatificati il 17 ottobre 1926 da Papa Pio XI unitamente ad un gruppo complessivo di 191 vittime dei massacri di settembre.

Nato Brescia l’11 settembre 1784 da genitori nobili e benestanti, Ludovico Pavoni sin dalla sua ordinazione sacerdotale, nel 1807,  si dedicò ad un’intensa attività catechistica, fondando presto un suo “oratorio” sapientemente organizzato per l’educazione cristiana dei ragazzi e degli adolescenti più poveri. Un’iniziativa, questa, che nel 1821, sfocerà nella fondazione di un“Collegio d’arti” chiamato “Pio Istituto S. Barnaba” per adolescenti e giovani poveri o abbandonati, ai quali in seguito aggiunse una sezione per sordo-muti. Nei trent’anni a seguire Pavoni sviluppò un suo metodo educativo all’avanguardia; organizzò un modello di istruzione e di avviamento al lavoro che prelude alle moderne scuole professionali; diede inizio ad un’eccezionale attività tipografica ed editoriale, infine fondò la Congregazione religiosa dei Figli di Maria Immacolata, i cosiddetti “frati operai”, talmente nuova e audace da lasciare a lungo perplesse autorità civili e religiose, che solo dopo oltre un decennio diedero il riconoscimento ufficiale. Padre Lodovico morì il 1° aprile 1849 a Saiano, presso Brescia, vittima eroica del suo prodigarsi per portare in salvo i suoi ragazzi dal pericolo dei combattimenti delle Dieci Giornate di Brescia. Giovanni Paolo II lo ha dichiarato beato il 14 aprile 2002.

Salernitano di nascita, Alfonso Maria Fusco è stato il fondatore della Congregazione delle Suore di San Giovanni Battista. Primogenito di cinque figli, ad 11 anni manifestò la volontà di ricevere l’ordinazione sacerdotale. Cosa che avvenne il 29 maggio 1863. Si distinse presto fra il clero della Collegiata di San Giovanni Battista di Angri per lo zelo, l’assiduità nel servizio liturgico e la diligenza nell’amministrazione dei sacramenti, specialmente della riconciliazione nella quale mostrava tutta la sua paternità. Negli ultimi anni di seminario, sognò una notte Gesù Nazareno che gli chiedeva di fondare, non appena ordinato sacerdote, un istituto di suore e un orfanotrofio maschile e femminile. Su spinta di Maddalena Caputo di Angri, fondò quindi la Congregazione delle Suore Battistine del Nazareno che accolse numerose postulanti e orfanelle. Durissime le prove che don Alfonso dovette accettare, con i vertici della Chiesa che chiedevano il suo ritiro dalla guida dell’Opera. Momenti di grande sofferenza che affrontò con mitezza, rifugiandosi nella preghiera. Nonostante tutto continuò a dirigere l’Istituto con saggezza e prudenza, sacrificandosi con le suore e le orfane pur di garantirgli un’adeguata istruzione nonostante fosse all’epoca privilegio di pochi. Le crescenti richieste di assistenza lo spinsero ad aprire nuove case, prima in Campania, poi in altre regioni d’Italia; attualmente sono diffuse in quattro continenti. Morì il 6 febbraio 1910 dopo aver benedetto le figlie piangenti intorno al suo letto. Il 12 febbraio 1976 Paolo VI ne riconobbe le virtù eroiche; il 7 ottobre 2001 Giovanni Paolo II proclamandolo beato lo offrì come esempio ai sacerdoti e protettore dei poveri e bisognosi.

 

“Il vescovo dei Tabernacoli abbandonati” e “il vescovo martire” veniva invece chiamato il vescovo spagnolo Manuel González García per la sua opera apostolica a favore della devozione all’Eucaristia. Nato Siviglia il 25 febbraio 1877, sin da bambino cullò il sogno di diventare sacerdote; si narra che sostenne di nascosto dei genitori gli esami per entrare in seminario, nel quale fu poi ammesso nel 1889. Fu esemplare nello studio e nella vita comunitaria; svolse il suo ministero sacerdotale inizialmente in piccoli villaggi, poi nel 1905 divenne arciprete della parrocchia di S. Pietro di Huelva a soli 28 anni: incarico che ricoprì per 10 anni, apportando notevoli cambiamenti nella parrocchia e nella città, divenendo famoso in tutta la Spagna per le sue iniziative apostoliche. Il 4 marzo 1910 fondò l’”Opera delle Tre Marie e dei Discepoli di S. Giovanni”, diffusa anche in America, che si dedicavano a fare compagnia a Gesù nel Tabernacolo e a diffondere la devozione all’Eucaristia. Nel 1915 fu nominato da Benedetto XV, vescovo di Olimpo e ausiliare a Malaga; nel 1921 fondò la Congregazione delle Suore Missionarie Eucaristiche di Nazareth. Durante il suo episcopato, nel 1931, cominciarono le prime avvisaglie della sanguinosa Guerra Civile Spagnola che esploderà nel 1936-39, con gruppi di rivoluzionari che bruciarono quasi tutte le chiese di Malaga, appiccando il fuoco anche al palazzo vescovile. González Garcia affrontò coraggiosamente e si consegnò ai ribelli, ma lo lasciarono andare. Si rifugiò prima presso un sacerdote e poi presso una famiglia amica di Ronda, per poi trasferirsi a Gibilterra. Nel 1932 ritornò a nella sua Diocesi, ma qualche mese dopo la Santa Sede, temendo per la sua vita, gl’impose di ritirarsi a Madrid, dove rimase fino al 1935 dedicandosi alle Opere Eucaristiche; nel 1935 fu nominato vescovo di Palencia e qui continuò la sua opera di pastore. Morì a Madrid il 4 gennaio 1940 in concetto di santità. Fecondo scrittore, pubblicò più di 30 lavori letterari, in particolare di carattere eucaristico e di insegnamento catechistico. È stato beatificato il 29 aprile 2001 da Giovanni Paolo II.

È immensa la bibliografia che parla di Elisabetta della Santissima Trinità, segno di una profonda spiritualità maturata nel chiuso di un Carmelo. Elisabetta Catez nacque nel campo militare di Avor presso Bourges (Francia) il 18 luglio 1880; rimase presto orfana di padre. Impetuosa ed estroversa, dovette lavorare a lungo per dominarsi o come diceva lei, di “vincersi per amore”, attirata da Cristo sin dalla Prima Comunione. Senza frequentare mai scuole vere e proprie, ebbe i primi rudimenti del sapere da due istitutrici, ma da piccola frequentò il conservatorio di Digione dove trovò nella musica una forma di donazione e preghiera. In piena adolescenza cominciò a sentirsi attratta da Cristo, legandosi spontaneamente a Lui con il voto di verginità. Sentì risuonare nel suo spirito il desiderio di ritirarsi nel Carmelo ma trovò una forte opposizione nella madre, che rimasta vedova così giovane, aveva riposto speranze nelle possibilità musicali della figlia. Si dimostrò pertanto contraria alla vocazione di Elisabetta, proibendole di frequentare il Carmelo di Digione e proponendole il matrimonio con un buon giovane. Ma la ragazza rimase ferma nel suo proposito; quando raggiunse i 19 anni la signora Catez cedette, ponendo però la condizione di entrare nel Carmelo a 21 anni, nella speranza che, frequentando intanto circoli sociali e feste, Elisabetta cambiasse idea. Lei, però, anche in mezzo al mondo seguiva il suo Gesù: prima di uscire per le feste, s’inginocchiava in casa e pregava la Madonna. Si preparò alla vita monastica insegnando il catechismo ai piccoli della parrocchia e soccorrendo i poveri. Il 2 agosto 1901 entrò nel Carmelo di Digione e l’8 dicembre ne vestì l’abito. La gioia di aver raggiunto la meta desiderata fu però frenata da uno strano male, non diagnosticato correttamente e curato con terapie sbagliate, che si scoprì più tardi fosse il terribile morbo di Addison. Suor Elisabetta accettò tutto con il sorriso e l’abbandono alla volontà di Dio. Nel 1906 la situazione precipitò: le crisi si susseguivano opprimendola e soffocandola, mentre le viscere davano la sensazione di essere dilaniate da bestie feroci, non riusciva ad assumere né cibo né bevande, ciò nonostante non smise mai di sorridere. Al martirio del corpo si aggiunse quello dello spirito, con un senso di vuoto e abbandono da parte di Dio che tutti i mistici hanno conosciuto. Il morbo ebbe un decorso piuttosto lungo e doloroso; la morte sopraggiunse il 9 novembre 1906, a soli 26 anni. Pur essendo vissuta nel monastero poco più di cinque anni e di cui tre in una condizione di ammalata grave, dopo morta suor Elisabetta godé subito di fama di santità. Fu Giovanni Paolo II a beatificarla il 25 novembre 1984.

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