Di fronte ai recenti spaventosi fatti di cronaca, in particolare di terrorismo, sono ricorrenti due atteggiamenti sostanzialmente antitetici. Il primo impatto suscita “emozione mista a preoccupazione e angoscia”; poi, però, c’è “il rischio di assuefarsi e diventare insensibili e vittime di cinismo e indifferenza”.
Lo afferma il vescovo di Ascoli Piceno, monsignor Giovanni D’Ercole in una nota di commento ai “tragici fatti della Puglia, di Nizza, della Turchia, dell’America”, con riferimento alle “tante vittime quotidiane della violenza in famiglia”. Episodi che, osserva il presule, “si può arrivare a considerare ‘spettacoli’”, tuttavia, meno che mai è “urgente non avvicinarsi con curiosa superficialità a tali eventi, ma guardarli sempre in un’ottica sovrannaturale, superando l’apparenza emotiva”.
Un credente, prosegue D’Ercole, deve vivere questo “tempo di tragedia”, nella “apertura allo Spirito Santo” e domandarsi: “Vale la pena chiedersi come intendiamo la vita e soprattutto la morte; che senso ha il vivere su questa terra e che cosa ci attende dopo la morte: il nulla o l’abbraccio del Padre celeste in Paradiso?”.
Non serve limitarsi a “individuare il colpevole”; è fondamentale, piuttosto, “mettere in gioco se stessi e contribuire a costruire una nuova civiltà”, a partire dalla “quotidianità”, tessendo “relazioni di amore in famiglia e in ogni altro ambiente sociale, educando le nuove generazioni in modo nuovo, affrontando le sfide del lavoro e della disoccupazione con interventi concreti, sentendosi corresponsabili nella costruzione di città più accoglienti e a dimensione umana”.
Evitando che questi “ripetuti eventi drammatici” si limitino ad “impressionare i nostri sentimenti”, è importante – raccomanda il vescovo – che essi possano “muovere l’intelligenza e spingerci a un cambiamento di mentalità, a impostare la vita su criteri evangelici di carità e di fraterna condivisione”.
“Né deve venir meno – prosegue monsignor D’Ercole – la fiduciosa consapevolezza che Dio è il Signore amoroso della storia e che, nonostante le apparenze, non ci abbandona mai perché vuole il bene di tutta la famiglia umana”.
“È proprio questa consapevolezza a spingere ogni credente a non rifugiarsi nel proprio io, ma a uscire da se stesso per assumere con coraggio responsabilità e impegni ecclesiali e sociali diretti”, non limitandosi ad essere “meri e critici spettatori di quel che succede o nostalgici sognatori di tempi migliori”.
Non basta proclamare a parole i “valori”, è necessario diventare “coraggiosi protagonisti di nuova umanità, spinti dal desiderio di ridare corpo vitale alla Chiesa e sostanza alle nostre democrazie”, conclude poi D’Ercole.
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