ZENIT – di Marco Valerio Solia
EGITTO – Quotidianamente assistiamo nel mondo alla radicalizzazione di scontri inter-etnici ed inter-religiosi. Intere zone geografiche precipitano velocemente nel caos, generando conflitti ed instabilità cronica, facendo apparire come un miraggio il raggiungimento di una pace duratura. Lo stesso Occidente è divenuto teatro di frequenti attacchi terroristici di matrice islamista, relegando nel passato l’aurea di intangibilità e sicurezza del suo territorio.
Luogo di osservazione privilegiato per monitorare tali drammatici sviluppi, il Medio Oriente ha catalizzato l’interesse dell’opinione pubblica europea, costretta a fare i conti con un nichilismo stragista che non la risparmia neppure tra le proprie mura domestiche. I grandi rischi che corre il nostro continente, tuttavia, finiscono presto per essere ridimensionati se confrontati con la vita quotidiana di alcune realtà religiose dall’altra parte del Mediterraneo.
Tra di esse un posto di rilievo assume la comunità copta, la quale rappresenta circa il 10% dell’intera popolazione egiziana (di quasi 90 milioni d’abitanti). Quella dei cristiani copti è una storia lunga e ricca, che parte dai primi secoli della nostra era quando, in piena epoca romana, la religione cristiana era diventata la più diffusa sulle rive del Nilo, rimanendo mutilata dall’invasione araba del VII secolo che convertì la maggioranza della popolazione all’Islam. Nonostante ciò i discendenti degli antichi cristiani sono arrivati fino ai nostri giorni, conservando la propria religione e la propria lingua liturgica.
La convivenza tra copti e musulmani costituisce una spada di Damocle per l’Egitto moderno, con il rischio, puntualmente verificatosi, di scontri inter-religiosi e divisioni in seno al popolo egiziano, che i vari regimi militari da Nasser ad oggi, anche in difesa della laicità dello Stato, hanno tentato di placare, non riuscendo però a sradicare il problema alla radice.
Lo scoppio delle cosiddette primavere arabe e l’instabilità che hanno provocato in molti Paesi dell’area (basti pensare all’ascesa al potere in Egitto dell’islamista Morsi, rovesciato nel 2013 dal golpe di Al Sisi) hanno riacceso conflitti mai del tutto sopiti, sottoponendo la comunità copta, ingente ma minoritaria, a continui attacchi, specialmente nell’Egitto rurale.
Il 2016 è stato prodigo di lutti e diventa persino difficile fare un elenco completo delle violenze contro i copti: la mattina del 30 giugno (anniversario delle proteste popolari anti-Morsi) il sacerdote Rafael Moussa è stato ucciso a colpi di arma da fuoco ad Al Arish, nel Sinai settentrionale. Appena pochi giorni prima, nel maggio, una donna copta di 70 anni era stata spogliata da circa 300 musulmani e costretta a camminare nuda per le vie della città. La barbarie, avvenuta in un villaggio nel governatorato di Minya, era scattata in seguito a delle voci che il figlio della vittima avesse una relazione con una donna musulmana.
Un altro vergognoso episodio si è verificato nell’Alto Egitto all’inizio di questo mese quando centinaia di musulmani hanno assaltato le case dei cristiani copti nel villaggio di Kom el Loofy, vicino alla città di Samalut, in risposta all’ennesima voce (infondata) della costruzione di una chiesa copta. A dimostrazione che le aggressioni sono all’ordine del giorno il 5 luglio scorso una suora è stata assassinata con colpi di arma da fuoco mentre viaggiava sull’autostrada che collega la capitale ad Alessandria. Il 17 luglio, invece, le famiglie di due preti copti sono state assaltate, sempre nel turbolento governatorato di Minya, da una folla arrabbiata, lasciando sul terreno un morto e tre feriti.
In questo clima incandescente, giovedì scorso il presidente Al Sisi ha preso la parola durante una cerimonia militare condannando senza riserve gli episodi di violenza settaria e ripudiando la differenziazione degli egiziani secondo la religione professata.
Il discorso di Al Sisi ha ricevuto il plauso del patriarca copto Tawadros II, il quale ha dichiarato di apprezzare le sagge parole del presidente (considerato dalla comunità copta l’unico freno alle violenze musulmane nei loro confronti). Le affermazioni di Al Sisi, secondo il patriarca, confermerebbero l’enorme preoccupazione per la sorte dei cristiani nel Paese, troppo spesso messa a repentaglio. Nonostante la necessità di sperare che la crisi possa rientrare, il passato dell’Egitto e l’osservazione realistica del presente non lasciano presagire nulla di buono.
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