(Sir – di Gianni Borsa)
Il Consiglio d’Europa non ci sta. E da Strasburgo – sede dell’organizzazione internazionale sorta nel 1949 che oggi conta 47 Stati membri – si levano obiezioni di fondo e preoccupazioni circostanziate alla decisione della Turchia di mettere da parte la Convenzione dei diritti dell’uomo per far fronte all’emergenza scaturita dal fallito golpe del 15 luglio. In realtà la Convenzione stessa prevede che uno Stato possa invocarne la temporanea sospensione per ragioni legate alla sicurezza nazionale, alla difesa della democrazia, alla lotta al terrorismo. Ma ciò che non sembra convincere il CdE è l’insieme delle condizioni che hanno portato alla decisione del governo turco presieduto da Binali Yildirim, legate a un quadro politico interno progressivamente allontanatosi dai canoni delle democrazie aderenti al Consiglio d’Europa. E gli ultimi provvedimenti del 27 luglio peggiorano il quadro: ordine di chiusura per 45 giornali e 16 canali tv (diventano 130 i media chiusi in questi giorni), siti di informazione controllati, ordine d’arresto per 47 giornalisti del quotidiano Zaman, che vanno ad aggiungersi agli altri reporter messi in prigione senza una precisa ragione.
Diritti e libertà. Il 21 luglio il segretario generale del Consiglio d’Europa,Thorbjørn Jagland, ha dichiarato di essere stato informato da Ankara che la Turchia avrebbe dato “notifica della deroga alla Convenzione, ai sensi dell’articolo 15”. Un provvedimento grave, al quale hanno fatto ricorso nel tempo altri Stati, fra cui, di recente, Francia e Ucraina. Occorre ricordare che la “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (sigla Cedu, firmata a Roma nel 1950 ed entrata in vigore tre anni più tardi), è definita nel quadro del Consiglio d’Europa. Essa rappresenta la “magna charta” per la protezione, su scala continentale, dei diritti fondamentali.
La sua applicazione è affidata alla Corte europea dei diritti dell’uomo (alla quale può ricorrere ogni persona) e al Consiglio dei ministri CdE, con un sistema giurisdizionale effettivo e contraente, che ha valore in tutti i Paesi che l’hanno firmata, e che nel tempo ha dimostrato effetti concreti e positivi. I suoi articoli si concentrano, ad esempio, sul diritto alla vita, la proibizione della tortura, i diritti alla libertà e alla sicurezza, a un processo equo, al rispetto della vita privata e familiare; sancisce la tutela della libertà di espressione, di matrimonio, il divieto di ogni forma di discriminazione…
Gli articoli esclusi. Il Segretario generale Jagland, il 22 luglio, ha quindi comunicato di aver ricevuto la “notifica formale da parte del Governo turco che conferma che la decisione di imporre uno stato di emergenza di tre mesi, in risposta al fallito” putsch. Specificando subito: “La possibilità di una deroga temporanea è prevista dall’art. 15 della Convenzione”.Ma “tali deroghe devono essere proporzionate alla situazione e in nessun caso sono previste deroghe agli articoli seguenti: 2 (diritto alla vita), 3 (proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti), 4 paragrafo 1 (proibizione della schiavitù), 7 (nulla poena sine lege)”.Inoltre “chiunque affermi di essere vittima di una violazione della Convenzione da parte della Turchia come conseguenza delle nuove misure adottate sotto lo stato di emergenza avrà comunque il diritto di presentare il proprio caso dinanzi la Corte dei diritti dell’uomo”. E un ulteriore, pacato “avvertimento”: “La nostra attenzione ora è rivolta alla tutela della democrazia e dei diritti umani, da cui dipende la futura stabilità della Turchia”.
Criterio di proporzionalità. La Corte dei diritti ha poi specificato e rafforzato il messaggio, precisando che la Convenzione “continuerà a essere in vigore in Turchia”: cioè ne viene sospesa l’applicazione ma non diviene carta straccia. “Laddove il governo cerchi di invocare l’articolo 15”, la Corte deciderà se “la richiesta è conforme ai criteri stabiliti dalla Convenzione, in particolar modo i criteri di proporzionalità della misura presa”.
Pesanti repressioni. A Strasburgo non risultano affatto chiare, in sostanza, le modalità con cui si sarebbe svolto il “fallito golpe” e le pesanti repressioni che ne sono immediatamente scaturite.A poche ore dalla dichiarazione del presidente Recep Tayyp Erdogan che il colpo di Stato era caduto nel vuoto, erano già pronte liste di proscrizione per migliaia e migliaia di militari, vertici delle forze di sicurezza, magistrati, prefetti, insegnanti, giornalisti.E hanno subito fatto il giro del mondo immagini di repressioni feroci, con un uso della violenza indiscriminata; e altre accuse di tortura e stupri nei confronti degli arrestati. Su tutto questo il CdE non intende sorvolare, come invece, troppo timidamente, sembrano ancora fare molte cancellerie d’Europa e non solo.
Obiezioni legittime. In questa linea giunge una presa di posizione del Commissario per i diritti umani del CdE, Nils Muiznieks. “È con profonda preoccupazione che ho esaminato il primo decreto legislativo adottato nell’ambito dello stato di emergenza dichiarato in Turchia la scorsa settimana”. Muiznieks il 26 luglio prende atto che Ankara ha presentato una deroga alla Cedu; poi specifica di non “nutrire alcuna simpatia per i golpisti. Credo che chi abbia complottato per rovesciare la democrazia debba essere punito. Non metto nemmeno in dubbio – insiste – il diritto della Turchia di dichiarare lo stato di emergenza”. “Ma – e qui arrivano le spigolature – devo sottolineare che tali deroghe non sono illimitate: la Corte europea dei diritti dell’uomo rimane la massima autorità per determinare se le misure adottate durante lo stato di emergenza siano conformi o meno alla Cedu”. Da qui Muiznieks parte con una lunghissima e precisa serie di interrogativi che fanno pensare a una situazione interna alla Turchia assolutamente preoccupante.
E visto che si tratta del Paese in cima alla lista dei trasgressori della Convenzione dei diritti umani – si pensi alla situazione dei curdi e degli armeni, delle donne, delle minoranze religiose… – le obiezioni appaiono più che legittime.
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