Messaggio per chi ancora avesse qualche dubbio: la riforma della Curia romana è realtà. È un processo irreversibile, avviato nel 2013 con l’istituzione del Consiglio di cardinali, il cosiddetto C9, e ancora prima – volendo – con la rinuncia di Benedetto XVI e il conseguente Conclave che ha portato all’elezione di papa Francesco. Insomma, è un cammino ben tracciato, che sta procedendo con i giusti tempi del discernimento, processo molto caro a Bergoglio. Alcuni dati? Si possono facilmente trarre dalle riunioni del C9 tenute dal 2013 ad oggi: sono state in tutto 15 – l’ultima è dello scorso giugno, mentre sono già in programma le prossime 2 (12-14 settembre e 12-14 dicembre) – con una durata media di 3 giorni e di circa 7 ore di lavoro al giorno.
Complessivamente, quindi, 45 giorni per circa 315 ore di lavoro, cui bisogna aggiungere il Concistoro del febbraio 2015, dedicato proprio al tema della riforma, le varie consultazioni, sia con i singoli capi Dicastero sia con esperti esterni alla Curia romana, e gli oltre 100 contributi fatti pervenire al C9.
Si può, pertanto, comprendere come si stia “camminando” in maniera corale o, meglio, sinodale, potenziando le “sinergie in tutti gli ambiti della missione” della Chiesa, come spiegato da Papa Francesco nel discorso per il 50° del Sinodo.
Il processo di riforma va avanti… E prosegue non per addizione del preesistente. Tutt’altro! Sta aprendo, infatti, un diverso modo di pensare e – di conseguenza – di agire. Prova ne sono le nuove Segreterie (per la comunicazione e per l’economia) e i nuovi Dicasteri (per i laici, la famiglia e la vita e per il servizio dello sviluppo umano integrale) che hanno sostituito – o ciò avverrà nei prossimi mesi – alcuni Pontifici Consigli. “Per fare una semplice somma – chiarisce monsignor Marcello Semeraro, segretario del C9 – non ci sarebbe di per sé bisogno di una riforma. Si tratta, piuttosto, di un ripensamento per snellire e semplificare la Curia, progettato nella fiducia che alcuni accorpamenti diano maggiore rilevanza, anche esterna, e dunque maggiore incidenza. La riforma della Curia, tuttavia, potrebbe prevedere anche la creazione di altri Dicasteri, se le circostanze dovessero richiederlo. La prima istanza è l’efficace corrispondenza alla missione salvifica della Chiesa”.
Ecco, allora, che si capiscono i nomi scelti per i nuovi Dicasteri: laici-famiglia-vita e sviluppo umano integrale. Entrambi, nelle specifiche competenze, sono la sintesi di dimensioni intimamente connesse: laici-famiglia-vita… il rimando è continuo e naturale! Così come sviluppo umano integrale, spiega Semeraro, indica “un orizzonte d’azione ben preciso, ispirato a tre riferimenti: la Populorum progressio di Paolo VI per l’insegnamento sullo sviluppo, la Caritas in veritate di Benedetto XVI per la sua dimensione umana e la Laudato si’ per il profilo solidale e di ecologia integrale. È chiaro il radicamento della nuova struttura in tutto il magistero sociale della Chiesa, come scrive il Papa nel motu proprio con cui l’ha istituita”. E non deve nemmeno sorprendere che la sezione profughi e migranti del Dicastero sia posta “ad tempus” sotto la guida di Francesco. È una scelta che sottolinea, ancora una volta, un’attenzione a un’emergenza mondiale – e non solo europea – di stringente attualità. E l’assunzione da parte del Papa in prima persona di questa sezione è un monito per tutti, credenti e non credenti! Di più:quell’“ad tempus” può anche essere letto come auspicio che tale emergenza non tardi a essere risolta. Nessun passo indietro, dunque, da parte della Chiesa: è vero il contrario e il Papa lo mostra a tutti chiaramente.
Ritorna, però, prepotente la domanda di scettici e dubbiosi:
era proprio necessario questo ripensamento?
Una risposta può essere desunta da un passaggio della lettera apostolicaHumanam progressionem in forma di “Motu Proprio” con cui si è dato vita al Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Scrive papa Francesco:
“Il Successore dell’apostolo Pietro, nella Sua opera in favore dell’affermazione di tali valori, adatta continuamente gli organismi che collaborano con Lui, affinché possano meglio venire incontro alle esigenze degli uomini e delle donne che essi sono chiamati a servire”.
Qui c’è un rimando teologico forte al pensiero di Paolo VI (visibile anche nel termine “progressionem” che rimanda alla “Populorum progressio”): la riforma, tanto ieri con Montini, quanto oggi con Francesco, va intesa nel senso di riordino, miglioramento e adattamento alle nuove esigenze dettate dai tempi. “E questo – puntualizza il segretario del C9 – anche con una riscrittura dei criteri ecclesiologici: si pensi, ad esempio, alla priorità dell’evangelizzazione quale appare in Evangelii gaudium e al tema della sinodalità. In ogni caso non come il ripristino di un’ideale situazione iniziale, che nel caso della Curia romana sarebbe se non altro problematico da individuare”.
Insomma, la Curia romana non è un monolito inalterabile.
Se si guarda alla storia dell’ultimo secolo, appare con evidenza che questa non è un apparato immobile: da Pio X (1908) a Paolo VI (1967), passando per Giovanni Paolo II (1988) e per Benedetto XVI che pure ha introdotto alcuni mutamenti e novità. “La Curia romana – sintetizza, in modo chiaro, Semeraro – non è un’entità autonoma ma uno strumento di aiuto al Successore di Pietro: ha senso esclusivamente se legata a lui. I cambiamenti che si stanno realizzando mostrano tutta la paternità di Francesco affinché, come scrive nel motu proprio Sedula Mater, ‘i Dicasteri della Curia Romana siano conformati alle situazioni del nostro tempo e si adattino alle necessità della Chiesa universale’. E l’opera di riforma consiste nell’adattarli continuamente a queste situazioni e necessità”.
Il messaggio, allora, è chiaro: il processo è inarrestabile e ora proseguirà con le Congregazioni. Con un’accortezza: non si tratta di fare somme o sottrazioni, ma di ripensarsi come Chiesa.
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