Le parole di Papa Francesco in Georgia, a difesa del matrimonio, fanno molto pensare a tutti i travisamenti della dimensione familiare nella letteratura. Perfino Tolstoj non vedeva di buon occhio il matrimonio. Ma lui ci scorgeva l’ossessione sessuale, e quando il sesso diventa ossessione, corre il rischio di diventare una realtà separata da tutto il resto. Perciò quando nel suo racconto “La sonata a Kreutzer” si lascia andare ad affermazioni del tipo “l’ideale del cristiano è l’amore per Dio e per il prossimo, è la rinunzia a stessi per servire Dio e il prossimo; mentre l’amore carnale, il matrimonio, significa servire se stessi”, si vede bene che c’è dietro una concezione ancora intellettualistica e manichea: il matrimonio-carne-sesso contro la purezza-spirito-Dio. E’ lo stesso errore che ha attraversato i secoli per arrivare fino all’amore folle del romanticismo. Qualcuno, come Denis de Rougemont ha affermato che l’amore platonico dei trovatori provenzali del XII-XIII secolo, non è in realtà una teoria dell’amore: sarebbe semplicemente la maschera dietro la quale si nascondeva la dottrina catara, che, come si sa, non vedeva di buon occhio il matrimonio e la sessualità.
Il problema è proprio questo:
se l’amore è visto come sogno di bellezza, di vita senza impedimenti passata a guardarsi incantati negli occhi, come inseguimento di un legame assoluto e impossibile (Marcel Proust aveva genialmente intuito che in una certa concezione dell’amore vince sempre chi fugge), prende lentamente le dimensioni di una fissazione, di un incubo.
Ecco perché per secoli siamo rimasti affascinati da racconti in cui l’amore è sogno, e come tale si guarda bene dallo scendere sulla terra: l’amore folle di Anna Karenina per il bel Vronskij, ancora una volta secondo il recidivo Tolstoj (che in realtà condanna la sua eroina mentre molti l’hanno letto come un manifesto di anticonformismo), ma anche il giovane Werther di Goethe, e pure la sua ripresa italiana (dove però esso si incrocia con l’amor di patria), lo Jacopo Ortis di Foscolo. Ma potremmo fare un elenco lungo una vita, (che non escluderebbe, impietosamente la Laura di Petrarca, una vera, seppure bellissima, ossessione) a cominciare da un modello quasi assoluto, che però, dovremmo esserne orgogliosi, è di origine italiana (nel 1530 Luigi Da Porto aveva scritto la “Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti”) ed ha radici storiche nel ‘300 veronese: si tratta di Giulietta e Romeo di Shakespeare.
Se analizziamo in profondità, l’amore che ci porta a vedere nell’altro un dio diviene inesorabilmente la morte.
Il messaggio è: nessuno può permettere ad un altro di diventare la divinità della propria vita. Pena lo sconfinamento nel non-vita, nell’impossibile umanamente, nella morte, infine. Eccolo il punto: la verità complessa e insieme semplice nascosta nei tanto vituperati Promessi sposi. Papa Francesco ha colto proprio questo: l’amore matrimoniale è amore profondo, talmente profondo che va oltre il volo del sogno e si immerge nella realtà. Ha il coraggio di fare i conti con i pannoloni e lo sporco in cucina, con i soldi che non arrivano alla fine del mese.
Quella gentilezza che molti scrittori hanno inseguito nelle storie immaginate con la bella di passaggio dovrebbe esserci invece quando si vive insieme per anni ed anni. Allora serve, allora le parole “scusa, posso? che ne diresti?” acquistano il vero senso di una vita vissuta e condivisa fino in fondo, e anche questo è bellezza. Il potere delle parole non sta solo nei baci perugina e nelle, per carità, affascinanti frasi di Romeo e Giulietta e dell’Amante di Lady Chatterley. Sta nel ritrovare la bellezza dell’altro nel qui e nell’ora, dando ai sogni il posto che devono avere. Manzoni, e non solo lui, ci ha insegnato che quando un romanzo finisce, comincia la vita. L’ultima pagina dei Promessi sposi è l’inizio della vera esistenza di Renzo e Lucia.
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