Sono stati circa 15mila i matrimoni a Gaza nel 2015, Striscia di terra di 360 km², abitata ormai da oltre due milioni di persone. Ma di questi 15mila, quelli celebrati nella minuscola comunità cristiana, poco più di 1400 fedeli, si contano sulle dita di una mano, “forse tre o quattro”secondo padre Raed Abusahlia, direttore generale di Caritas Jerusalem, organismo molto attivo nella Striscia. Metter su famiglia oggi a Gaza è particolarmente gravoso a causa delle condizioni socio-economiche in cui versa la popolazione, metà della quale vive sotto la soglia di povertà. Complici tre guerre scoppiate negli ultimi sei anni e il blocco israeliano, a Gaza la disoccupazione arriva al 45%, con punte del 60% tra i giovani. Per questo molte giovani coppie si indebitano per convolare a nozze. E le tensioni permangono, come conferma il parroco dell’unica parrocchia cattolica della Striscia, intitolata alla “Sacra Famiglia” di Nazareth che in questo lembo di terra passò durante la sua fuga in Egitto. “La povertà – dice padre Mario Da Silva – cresce sempre di più, non c’è lavoro, mancano molti medicinali. La ricostruzione dopo l’ultima guerra (2014) procede lentamente, anche se molte case sono state riedificate grazie all’aiuto della comunità internazionale. Entrare e uscire dalla Striscia è molto difficile. I controlli di Israele sono ferrei”.
L’amore viaggia sui social. Ma questo stato di cose non impedisce a molti giovani di progettare un futuro oltre quel muro che ingabbia la Striscia. Soprattutto quelli di fede cristiana, che più degli altri hanno difficoltà a trovare l’anima gemella dentro Gaza. Il perché lo spiega padre Da Silva: “sono le ragazze a soffrire maggiormente questa situazione. La comunità cristiana è composta da poco più di 1400 fedeli dei quali solo 120 cattolici. Tra loro anziani, donne, bambini, dunque non hanno possibilità di conoscere molti altri loro coetanei. Scartata l’idea di sposare un musulmano, cercano un fidanzato cristiano fuori, nei Territori Palestinesi”. Ma come? In questi ultimi anni sta crescendo, tra i giovani cristiani gazawi, un piccolo fenomeno quello dei fidanzamenti via social.
“Facebook e WhatsApp sono il loro legame con il mondo – sottolinea padre Abusahlia – che permette di allargare le amicizie e conoscere persone nuove”. Ciò che un muro impedisce, i social rendono possibile: vedersi sullo schermo di un semplice smart, conversare, condividere foto e momenti di vita, provare a conoscersi sperando, un giorno di potersi incontrare davvero e magari scoprirsi innamorati. Con la benedizione delle famiglie, timorose che le proprie figlie possano restare senza marito.
Paura che cresce con l’età delle ragazze. “In genere – dice il direttore di Caritas Jerusalem – l’età adatta per il matrimonio varia tra i 22 e i 24 anni massimo. A 26 si rischia già di non trovare più marito”.
Le occasioni di incontro non sono molte. In genere a Natale e a Pasqua, quando Israele concede permessi per uscire dalla Striscia e recarsi nei Territori Palestinesi a trovare familiari o a pregare nei luoghi santi. “Durante il breve tempo del permesso ad incontrarsi non sono solo i giovani fidanzati ma anche le loro famiglie – dichiara padre Abusahlia – che così pensano anche all’organizzazione dell’eventuale matrimonio.
Negli ultimi tre anni sono uscite da Gaza circa 20 giovani donne, sette delle quali sono rimaste nei Territori Palestinesi, tutte le altre invece sono andate all’estero con i loro mariti”.
Ad aiutare queste giovani coppie “virtuali” a convolare a giuste nozze sono anche i sacerdoti delle rispettive parrocchie. “Nella mia, a Gaza, ho avuto alcune ragazze che hanno seguito questo percorso – ricorda padre Da Silva – e abbiamo anche chiesto a Israele dei permessi per il matrimonio. In qualche raro caso ci siamo riusciti grazie anche alla collaborazione dei nostri confratelli delle parrocchie dove le giovani andavano a sposarsi”. Il collegamento tra i parroci è anche garanzia di “accompagnamento spirituale della coppia e dei loro familiari”.
Le nozze, tuttavia, non risolvono completamente i problemi delle ragazze. “Chi viene da Gaza, infatti, con regolare permesso rilasciato da Israele e, alla scadenza, non rientra nella Striscia – spiega padre Abusahlia – diventa ‘illegal’, una specie di clandestino. Ciò vuol dire che se qualcuna di queste ragazze dovesse essere fermata per un controllo a uno dei check point israeliani, che costellano i Territori Palestinesi, sarebbe costretta a fare ritorno a Gaza. Per questo motivo passano molto tempo in casa con i mariti”. Lontane dalle loro famiglie, rientrate nella Striscia, queste ragazze continueranno ad avere contatti con i familiari grazie ai social, in attesa di rivederli magari nelle prossime festività. “In occasione della Pasqua scorsa – afferma padre Da Silva – Israele ha rilasciato 850 permessi ai cristiani, concedendoli anche ai giovani tra i 15 e i 35 anni, ai quali vengono sempre negati. Molte famiglie sono uscite ma non tutte sono rientrate facendo registrare un calo della già esigua presenza cristiana a Gaza”. E adesso l’attenzione si sposta al prossimo Natale. Ma davanti al rischio della scomparsa cristiana dalla Striscia, il parroco, risponde così:
“che prospettiva può avere un giovane cristiano oggi a Gaza? Cercare un futuro migliore, costruirsi una famiglia altrove è un bisogno essenziale e noi abbiamo il dovere di accompagnare i nostri giovani in questo cammino”.
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