DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto sulle letture di domenica 30 ottobre. Monache Clarisse, l’invito per la “Scuola di Preghiera”
Che cosa spinge sette fratelli e la loro madre a lasciarsi torturare e infine uccidere da chi vorrebbe che rinnegassero la propria fede? Cosa li porta a sopportare dolori estremi e la morte «piuttosto che trasgredire le leggi dei padri»?
«E’ preferibile morire per mano degli uomini – dice uno dei fratelli – quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati».
Di che speranza si tratta? E’ una forma di ottimismo ottuso e cieco? E’ credere ad una “provvidenza” per la quale, prima o poi, tutto è destinato ad andare per il verso giusto?
La speranza, di cui si parla nella prima lettura, è ciò che ha consentito e tuttora consente a questi uomini e a questa donna di affrontare, il mestiere di vivere, di camminare in posizione “eretta” sulla strada della vita.
«Dal cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo».
Sette uomini e una donna pienamente diritti, pienamente integri, saldi e “in piedi” nonostante siano fisicamente curvati e provati da tanta sofferenza.
Qual è la loro speranza? La certezza di un Dio che non è il totalmente altro e lontano da loro, la consapevolezza di una relazione con questo Dio vissuta e sperimentata già da tutto il popolo di Israele nel corso della sua intera storia, di tutto il suo camminare passato e presente, quella relazione che costituisce il fondamento del suo credere.
Come dice il salmista, «Io ti invoco poiché tu mi rispondi […]. Io nella giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua immagine». Questi uomini e questa donna scelgono di vivere per Dio, per questa relazione tra Dio e ciascuno di loro, disposti a rinunciare al proprio corpo fisico per vivere una dimensione che è altra, per una «vita nuova ed eterna», in vista di «una resurrezione per la vita».
E noi? Cosa ci fa stare in piedi, cosa non ci fa abbandonare alla disperazione, alla morte? Quale la nostra speranza?
«…lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza».
Sì! La nostra speranza è Gesù Cristo, morto e risorto, primogenito, e non il solo, e non l’ultimo, di coloro che resuscitano dai morti.
Come i fratelli protagonisti della prima lettura, vogliamo portare a tutti, nel vaso di creta povero e fragile che noi siamo, il grande tesoro della nostra speranza: la vita è più forte della morte, l’amore è più forte dell’odio, la fedeltà di Dio, come scrive San Paolo, è più forte dell’infedeltà dell’uomo!
Leggiamo nel Vangelo: «Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe». Non è un concetto astratto, né tantomeno un Dio di cadaveri. Abramo, Isacco e Giacobbe fanno parte del nome di Dio, stanno nella memoria di Dio. «Dio non è dei morti, ma dei viventi», e chi fa parte del nome di Dio è vivo.
Questo ci dice oggi il Signore: tu sei iscritto nel nome di Dio, tu vivi in Dio di una vita vera, vivi della fonte vera della vita!
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