“Sono un povero pastore che il Signore è andato a cercare”. Ripensa alla storia del profeta Amos, “pastore e raccoglitore di sicomori”, l’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga, per parlare della decisione di Papa Francesco di crearlo cardinale durante il Concistoro di sabato 19 novembre, alla vigilia della chiusura della Porta Santa della misericordia. Cinquant’anni il prossimo 14 marzo, Nzapalainga è stato ordinato sacerdote il 9 agosto 1998 nella Congregazione dei Padri Spiritani. Nominato arcivescovo di Bangui da Benedetto XVI il 14 maggio 2012, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 22 luglio dello stesso anno. Dal luglio 2013 è presidente della Conferenza episcopale della Repubblica centrafricana. Nel novembre 2015 ha accolto nella sua diocesi Papa Francesco che proprio a Bangui ha aperto la prima Porta Santa dell’Anno della misericordia. Impegnato in prima persona per il processo di pace nel Paese, nel 2013 ha partecipato, con il presidente del Consiglio islamico e il presidente dell’Alleanza evangelica a Bangui, alla fondazione della Piattaforma interreligiosa per la pace del Centrafrica. Sarà il primo cardinale del suo Paese. Lo abbiamo incontrato alla vigilia del Concistoro.
Ci può raccontare come ha vissuto l’annuncio di questa nomina?
Ho vissuto l’annuncio del Santo Padre come il profeta Amos: un povero pastore che il Signore è andato a cercare. Ero andato a Bossembele, a 160 km da Bangui, per insediare il nuovo parroco. Dopo la Messa, il cancelliere mi ha passato il telefono: era la nunziatura che mi annunciava la nomina. Il ritorno a Bangui è stato movimentato perché i cristiani si sono ammassati lungo la strada sventolando rami di palma. Nonostante la presenza delle forze dell’ordine, ci abbiamo impiegato quattro ore e mezza per percorrere 12 km. Ero commosso e colpito dal mio popolo.
Mi considero un semplice servo del Signore.
Come Maria, posso dire che sono il servo del Signore e che sia fatto di me secondo la Sua Parola.
Cosa significa questa nomina per la Chiesa centrafricana?
Il Centrafrica è un Paese povero, abbandonato, dimenticato. Ha conosciuto crisi a ripetizione, con un problema reale di malgoverno. La popolazione ne soffre le conseguenze. Ciononostante, il Santo Padre ha rivolto lo sguardo a questo Paese piccolo e povero, visitandolo lo scorso anno (29-30 novembre).
Questa nomina dimostra che Dio non dimentica i piccoli e i poveri che hanno fiducia in Lui. Attesta l’impegno della nostra Chiesa per il dialogo finalizzato al servizio, alla riconciliazione e alla pace.
Questa nomina, dunque, la aiuterà a dar maggior forza ai suoi appelli per la pace e la riconciliazione?
Continuerò, insieme all’imam e al pastore, a lanciare appelli per la pacificazione nel contesto di un dialogo fraterno per la ricostruzione del Paese. La mano tesa ai protestanti e ai musulmani è l’espressione di questa ricerca fatta insieme.
Spontaneamente i musulmani e i protestanti si sono identificati con questa nomina.
Dio vuole servirsi della mia persona – insieme alle altre – per mantenere il popolo dritto, in piedi, e reattivo. Le nostre comunità hanno bisogno di punti di riferimento e di bussole per avanzare nella nebbia.
Con Papa Francesco ha aperto la prima Porta Santa del Giubileo a Bangui, ora sarà a Roma per la conclusione dell’Anno Santo come neo-cardinale…
Il Santo Padre, venendo a Bangui ad aprire la prima Porta Santa, ha compiuto un gesto storico. Non avevo previsto di trovarmi a Roma come cardinale al suo fianco. Poiché Dio scrive diritto su linee storte, sarò in maniera provvidenziale a Roma a nome di questa Chiesa della periferia.
Quali i frutti di questo Anno Santo per il suo Paese?
Abbiamo avuto elezioni presidenziali e legislative pacifiche e riconosciute da tutto il mondo. Il quartiere-enclave del km 5 è stato liberato. Sono cresciuti il rispetto e l’entusiasmo per la Chiesa cattolica. Quest’anno, più di 20 giovani, di cui 13 dell’arcidiocesi di Bangui, iniziano il percorso propedeutico per la formazione per diventare sacerdoti. La vita è ripresa a Bangui e in tutto il territorio, nonostante gli attacchi dei nemici della pace. E la Porta Santa… Toccata da molti pellegrini!
Qual è la situazione nel Paese? Si hanno notizie di nuovi scontri…
La situazione del Paese rimane precaria a causa delle armi in circolazione. Sono di ritorno dalla città di Kaga-Bandoro dove il vescovado è stato dato alle fiamme. È stata un’occasione per ascoltare cattolici, protestanti, musulmani, autorità civili, gruppi armati. Un modo anche per calmare la tensione e invitare al dialogo. Tutti sono stati d’accordo nell’intraprendere questa strada. Ho acceso una fiamma e spetta adesso alla comunità locale mantenerla accesa.
La soluzione ai nostri problemi non verrà da fuori. Dobbiamo essere responsabili e prendere in mano il nostro destino. Gli altri devono limitarsi ad aiutarci e non dovrebbero occupare il primo posto.
Quale messaggio porterà, da cardinale, rientrando in Centrafrica?
Il Centrafrica è un Paese benedetto e amato da Dio. È giunto il momento di guardarci in faccia per disarmare i nostri cuori e le nostre menti al fine di ricostruire questo bellissimo Paese. Il cammino da intraprendere passa attraverso la conversione, il dialogo, l’accettazione degli altri.
La vita appartiene agli araldi,
e se i centrafricani vogliono entrare nella storia, devono accettare il perdono e la riconciliazione.
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