VotoStefano De Martis

Dal Mattarellum al Porcellum, fino all’Italicum passando per il Consultellum. Non è una filastrocca ispirata al latinorum di manzoniana memoria, ma la storia di oltre trent’anni di riforme elettorali italiane. In attesa di sapere quale nomignolo latineggiante avrà la legge elettorale con cui i cittadini eleggeranno il prossimo Parlamento (curiosità non banale perché dietro a ciascuno di questi nick sbarazzini c’è un preciso riferimento politico) proviamo a fare sinteticamente il punto della situazione e anche un po’ di storia recente.
Con una premessa:

dopo la bocciatura della riforma costituzionale, e quindi con la sopravvivenza del Senato così come lo conosciamo, i due rami del Parlamento si ritrovano con leggi elettorali radicalmente diverse tra loro. In questo modo, avere due maggioranze incoerenti non sarebbe più un rischio, ma una quasi certezza.

Ecco perché il presidente Sergio Mattarella, riferendo nei giorni scorsi delle sue consultazioni per il nuovo governo, ha sottolineato con forza “un’esigenza generale di armonizzazione delle due leggi per l’elezione di Camera e Senato, condizione indispensabile per andare a elezioni”.

Proprio il nome dell’attuale Capo dello Stato è evocato nel nomignolo ormai di uso corrente per definire il sistema varato nel 1993. Le cronache narrano che sia stato il politologo Giovanni Sartori a chiamarlo Mattarellum poiché l’allora deputato Sergio Mattarella era stato il relatore delle nuove leggi elettorali per Camera e Senato. Ma se nell’invenzione di Sartori c’era dell’ironia, in realtà il sistema si è rivelato uno strumento prezioso che per due intere legislature ha assicurato al Paese una sostanziale stabilità e una chiara alternanza di governo. La filosofia del sistema è quella di temperare l’opzione per i collegi uninominali maggioritari (un candidato per ogni partito e chi prende più voti vince il seggio) con una robusta quota di seggi assegnati con il metodo proporzionale (il 25%), per assicurare la rappresentanza a un più ampio spettro di forze politiche. Non si deve dimenticare che si era all’indomani di un referendum abrogativo a cui aveva partecipato il 77% degli italiani e che attraverso l’abolizione del meccanismo delle preferenze multiple aveva espresso una fortissima spinta riformatrice, nella direzione di un sistema maggioritario che consentisse agli elettori di scegliere anche la maggioranza di governo. La legge Mattarella fu quindi la traduzione, con una mediazione alta e originale, di quella spinta riformatrice all’interno del nostro ordinamento.

Bisogna arrivare al 2005 per incontrare il Porcellum, nome invero poco rassicurante, escogitato dal solito Sartori dopo che però era stato lo stesso relatore della legge, il leghista Roberto Calderoli, a offrirgli il destro definendola “una porcata”. Il sistema è di base proporzionale con liste bloccate (niente preferenze, conta l’ordine di lista), soglie di sbarramento per l’accesso dei partiti alla distribuzione dei seggi e un premio di maggioranza per la coalizione più votata. Tale premio viene assegnato su base nazionale alla Camera e regionale al Senato, il che ha contribuito a far nascere maggioranze non omogenee tra i due rami del Parlamento.

Il Porcellum è stato profondamente corretto dalla Corte costituzionale che con la sentenza n.1 del 2014 ha giudicato illegittimi il premio di maggioranza senza l’indicazione di una soglia minima di voti per ottenerlo e la previsione di lunghe liste bloccate. Ne è residuato un sistema proporzionale quasi puro, con possibilità di esprimere una preferenza e con soglie di sbarramento per l’assegnazione dei seggi: 2 e 4% (Camera), 3 e 8% (Senato) rispettivamente per le liste che si sono aggregate in coalizioni e per quelle che si sono presentate da sole. Poiché la Corte costituzionale ha sede nello storico palazzo della Consulta e spesso per esigenza di sinonimo viene chiamata con questo nome, il Porcellum modificato è diventato giornalisticamente Consultellum. Si tratta della legge attualmente in vigore per il Senato.

Per la Camera, infatti, nel 2015 il Parlamento ha approvato una nuova legge elettorale che l’allora premier Renzi, giocando d’anticipo, ha autonomamente battezzato Italicum. Il sistema è fondamentalmente un proporzionale con soglie di sbarramento, premio di maggioranza e doppio turno. Quest’ultimo è il cuore della legge: per avere il premio che dà la maggioranza assoluta dei seggi, una lista deve avere almeno il 40% dei voti, altrimenti vanno al ballottaggio le due liste più votate. Adesso il nodo è che

proprio il ballottaggio, e in particolare la non previsione di un requisito minimo per accedervi, è il bersaglio principale dei ricorsi su cui la Corte costituzionale dovrà esprimersi il prossimo 24 gennaio.

Si profila dunque la possibilità di un nuovo Consultellum, se i giudici dovessero accogliere i ricorsi. Sempre che il Parlamento non si dimostri capace di mettere mano alle leggi elettorali come sarebbe suo compito fare.

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