ManifestazioneZenit di Federico Cenci

Occorre volgere lo sguardo dapprima sulla copertina della rivista National Geographic e poi sulle immagini delle strade peruviane invase di genitori in protesta, per comprendere plasticamente qual è la posta in gioco della rivoluzione antropologica in atto.

Da un lato le elites, rappresentate dai grandi organi d’informazione, con l’intendimento di diffondere una propaganda a favore della concezione esclusivamente culturale e non più anche biologica della sessualità. Dall’altro il popolo, persone d’ogni censo, decine di migliaia di genitori preoccupati di tutelare i propri figli da un indottrinamento ideologico che trapela finanche nelle aule scolastiche.

I giorni prima del Santo Natale – che celebra la nascita di un bambino che ha cambiato il corso della storia – ha suscitato diverse polemiche la scelta di National Geographic di mettere in copertina sul numero della rivista di gennaio la foto di un bambino transgender, posa da donna adulta e abiti rosa, contornata dalla scritta “gender revolution”.

Il dossier all’interno inanella le storie di 80 bambini accomunati dalla “disforia di genere”, un disturbo dell’identità sessuale. L’accusa nei confronti della National Geographic, condensata nelle migliaia di lettere di protesta e nelle minacce di annullare l’abbonamento, è quella di aver trattato con troppa leggerezza un tema assai delicato e concernente l’intimità dei bambini. Strumentalizzati, questi ultimi, per condurre una battaglia ideologica. Ne danno prova la testimonianza spiattellata ai lettori di uno di questi piccoli, il quale racconta “quanto sia bello non essere più obbligata a sembrare un maschio”, nonché dall’assunto espresso nell’editoriale, secondo cui, “liberata dalla ‘binarietà’ maschile e femminile, l’identità di genere sta modificando gli scenari”.

Affatto intimorita dalle proteste sorte ad ogni latitudine, la redazione della rivista ha così spiegato la scelta editoriale: “I ritratti di tutti i bambini sono belli. Ci è piaciuto soprattutto il ritratto di Avery (in copertina, ndr) perché era forte e fiero. Abbiamo pensato che, in un colpo d’occhio, si riassume il concetto di ‘rivoluzione di genere’”.

Ma c’è anche un altro “colpo d’occhio”, il quale dimostra che questa rivoluzione si trova dinanzi schiere di persone comuni pronte a sbarrarle il cammino. È un “colpo d’occhio” che hanno recentemente offerto le strade del Perù, dove migliaia di genitori stanno inscenando una protesta contro il Governo, reo di voler attuare una legge sull’educazione sessuale nelle scuole all’insegna del gender.

Già lo scorso 25 novembre un fiume di persone si è riversato sotto il Ministero dell’Educazione, a Lima, aperto da uno striscione con la scritta “Siamo genitori in difesa dei nostri figli”. La mobilitazione popolare non ha però scalfito le autorità, tanto che il 13 dicembre il presidente del Perù, Pedro Pablo Kuczynski, ha indirettamente risposto ai contestatori di questa legge affermando che non ha intenzione di “retrocedere di un millimetro”.

Il muro contro muro non ha lasciato indifferenti i genitori peruviani, che hanno così deciso di organizzarsi immediatamente e invadere di nuovo le strade del Paese. Ecco allora che il 16, il 19 e il 21 dicembre si sono tenute diverse mobilitazioni in varie città del Perù, che hanno coinvolto – a detta degli organizzatori – decine di migliaia di persone.

I promotori della marcia hanno lanciato anche una campagna intitolata “Con mis hijos no te metas” (Con i miei figli non si scherza), seguita su Facebook da circa 45mila persone fino ad oggi. Il prossimo appuntamento è previsto il 4 marzo, per quella che viene già definita la più imponente marcia che il Perù abbia mai conosciuto. Di fronte a una “rivoluzione” imposta dalle elites, il popolo del buon senso è pronto alla battaglia.

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