Non siamo orfani. C’è Maria, nostra Madre. E Lei cura e guarisce da ogni male, specie dalla “corrosiva malattia della ‘orfanezza spirituale’”, “un cancro che silenziosamente logora e degrada l’anima”. Con questa certezza, Papa Bergoglio apre il nuovo anno. La sua omelia nella celebrazione in Basilica Vaticana di stamane, solennità di Maria Madre Dio, è un inno alla Vergine, quella che il Concilio di Efeso acclamava come Theotòkos, e un inno a tutte le madri che “sono l’antidoto più forte contro le nostre tendenze individualistiche ed egoistiche, contro le nostre chiusure e apatie”.
Tra queste il Papa individua la “mancanza di contatto fisico (e non virtuale) che va cauterizzando i nostri cuori facendo perdere ad essi la capacità della tenerezza e dello stupore, della pietà e della compassione”. Un chiaro riferimento a quei rapporti umani sempre più condizionati dalle nuove tecnologie.
“La perdita dei legami che ci uniscono, tipica della nostra cultura frammentata e divisa, fa sì che cresca questo senso di orfanezza e perciò di grande vuoto e solitudine”, afferma il Pontefice. Lo viviamo “quando si spegne in noi il senso di appartenenza a una famiglia, a un popolo, a una terra, al nostro Dio”. Così, avverte il Papa, “ci degradiamo a poco a poco, dal momento che nessuno ci appartiene e noi non apparteniamo a nessuno: degrado la terra perché non mi appartiene, degrado gli altri perché non mi appartengono, degrado Dio perché non gli appartengo… E da ultimo finisce per degradare noi stessi perché dimentichiamo chi siamo, quale ‘nome’ divino abbiamo”.
Non solo: “L’orfanezza spirituale ci fa perdere la memoria di quello che significa essere figli, essere nipoti, essere genitori, essere nonni, essere amici, essere credenti. Ci fa perdere la memoria del valore del gioco, del canto, del riso, del riposo, della gratuità”. L’orfanezza – insiste Francesco – “trova spazio nel cuore narcisista che sa guardare solo a sé stesso e ai propri interessi e che cresce quando dimentichiamo che la vita è stata un dono, che l’abbiamo ricevuta da altri, e che siamo invitati a condividerla in questa casa comune. Questa orfanezza autoreferenziale è quella che portò Caino a dire: ‘Sono forse io il custode di mio fratello?’, come a dichiarare: lui non mi appartiene, non lo riconosco”.
Bisogna allora “iniziare l’anno facendo memoria della bontà di Dio nel volto materno di Maria, nel volto materno della Chiesa, nei volti delle nostre madri”. “Una società senza madri sarebbe non soltanto una società fredda, ma una società che ha perduto il cuore, che ha perduto il ‘sapore di famiglia’”, rimarca il Santo Padre. “Una società senza madri sarebbe una società senza pietà, che ha lasciato il posto soltanto al calcolo e alla speculazione. Perché le madri, perfino nei momenti peggiori, sanno testimoniare la tenerezza, la dedizione incondizionata, la forza della speranza”.
Francesco attinge dalla sua esperienza personale e confessa di aver “imparato molto” da quelle madri “che, avendo i figli in carcere o prostrati in un letto di ospedale o soggiogati dalla schiavitù della droga, col freddo e il caldo, con la pioggia e la siccità, non si arrendono e continuano a lottare per dare loro il meglio”. Come pure da quelle madri “che, nei campi-profughi, o addirittura in mezzo alla guerra, riescono ad abbracciare e a sostenere senza vacillare la sofferenza dei loro figli”. Sono donne “che danno letteralmente la vita perché nessuno dei figli si perda”, sottolinea il Pontefice, “dove c’è la madre c’è unità, c’è appartenenza, appartenenza di figli”.
Il modello a cui guardare è Maria, “la donna che sa conservare, cioè proteggere, custodire nel suo cuore il passaggio di Dio nella vita del suo popolo”. Nei Vangeli, Ella “appare come donna di poche parole, senza grandi discorsi né protagonismi ma con uno sguardo attento che sa custodire la vita e la missione del suo Figlio e, perciò, di tutto quello che Lui ama”.
Maria, evidenzia il Papa, “ha saputo custodire gli albori della prima comunità cristiana, e così ha imparato ad essere madre di una moltitudine. Si è avvicinata alle situazioni più diverse per seminare speranza. Ha accompagnato le croci caricate nel silenzio del cuore dei suoi figli. Tante devozioni, tanti santuari e cappelle nei luoghi più reconditi, tante immagini sparse per le case ci ricordano questa grande verità”.
“Maria ci ha dato il calore materno, quello che ci avvolge in mezzo alle difficoltà; il calore materno che permette che niente e nessuno spenga in seno alla Chiesa la rivoluzione della tenerezza inaugurata dal suo Figlio”, annota Papa Francesco. E ribadisce: “Dove c’è una madre, c’è tenerezza”.
Maria, con la sua maternità, “ci mostra che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, ci insegna che non c’è bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti”. Con Lei sul nostro viso spunta di nuovo “il sorriso di sentirci popolo, di sentire che ci apparteniamo; di sapere che soltanto dentro una comunità, una famiglia le persone possono trovare il ‘clima’, il ‘calore’ che permette di imparare a crescere umanamente e non come meri oggetti invitati a ‘consumare ed essere consumati’”.
“Celebrare la festa della Santa Madre di Dio ci ricorda che non siamo merce di scambio o terminali recettori di informazione. Siamo figli, siamo famiglia, siamo popolo di Dio”. Soprattutto “siamo un popolo con una Madre, non siamo orfani”. E questa, conclude Francesco, “è una certezza che accompagnerà i nostri giorni” in questo anno appena cominciato.
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