Messico
Bruno Desidera

È il Messico, il Paese con il maggior numero di cattolici dopo il Brasile, il luogo più pericoloso al mondo per i sacerdoti. Lo dicono i numeri, lo confermano i recenti fatti di cronaca: secondo l’agenzia Fides, quattro sacerdoti (e quattro catechisti) uccisi da settembre a metà gennaio, 16 negli ultimi 4 anni, 37 negli ultimi 10. L’ultima vittima in ordine di tempo è stato padre Joaquín Hernández Sifuentes, sparito il 3 gennaio dalla diocesi di Saltillo (stato di Coahuila, nel nordest del paese) e successivamente trovato morto. In settembre era toccato a due sacerdoti della diocesi di Papantla (Veracruz): don Alejo Nabor Jiménez Juárez e don José Alfredo Suárez de la Cruz; pochi giorni dopo aveva subito la stessa sorte padre José Alfredo Lopez Guillen, sacerdote della diocesi di Morelia (stato di Michoacán).

“Siamo tutti vulnerabili”. La violenza e il narcotraffico hanno ormai pervaso intere zone del Messico, come dimostrato da altri recenti episodi di violenza che si sono verificati a Cancún e Playa del Carmen, località turistiche sulla costa caraibica. Padre Jesús Mendoza Zaragoza, parroco ad Acapulco, impegnato nella Pastorale sociale, è certamente un sacerdote a cui non manca il coraggio di impegnarsi per la giustizia e la promozione umana, oltre che per denunciare le tante situazioni di violenza, anche scrivendo sul giornale “El Sur de Acapulco”, periodico del Guerrero, altro Stato a forte tasso di criminalità.

“La violenza e l’insicurezza sono arrivati a livelli tali che noi tutti abitanti di questo Paese siamo vulnerabili e soprattutto coloro che sono leader di una comunità – spiega al Sir -. La Chiesa cattolica ha una presenza capillare nel Paese e noi sacerdoti abbiamo una grossa rilevanza sociale. Per questo motivo, quello che facciamo o quello che diciamo può dare fastidio ai delinquenti o alle organizzazioni mafiose. In contesti più violenti i rischi aumentano. Tutti i sacerdoti assassinati stavano servendo le loro parrocchie stando a stretto contatto con la gente. Solo questo fatto li rende più vulnerabili, perché sanno delle cose e possono essere considerati delle minacce per i criminali. Poi, però, ci possono essere altri casi nei quali la delinquenza comune approfitta del clima di impunità e di paura”.

Storie di “preti coraggio”. Insomma, svolgere con serietà il proprio ministero di pastore d’anime in Messico comporta grandi rischi. Anche se poi, non sempre è facile accertare le ragioni che portano ad uccidere un sacerdote, visto che si può andare dalla quasi casuale rapina al vero e proprio martirio. Il sociologo Rodolfo Soriano-Núñez vive a Città de Messico, è docente alla Fordham University di New York e ha scritto diversi libri sul rapporto tra religione e democrazia in Messico. “Impossibile stabilire una relazione diretta tra questi ultimi fatti”, ci dice. Nei casi più recenti, secondo il docente, “non risultano denunce esplicite verso situazioni di ingiustizia”, e in ogni caso le “informazioni sono scarse”. Tuttavia, nella morte di padre Joaquín Hernández, segnala il sociologo, “qualcuno ha voluto vedere un messaggio al vescovo di Saltillo, monsignor Raúl Vera, che considerava il sacerdote ucciso come un figlio e che ha avuto parole forti contro i politici, specialmente verso la famiglia Moreira, che ha governato lo Stato di Coahuila negli ultimi dodici anni”. Altro politico tutt’altro che esemplare è l’ex governatore del Veracruz, Javier Duarte, attualmente latitante, spesso oggetto di denunce da parte di un altro sacerdote, padre José Luis Sánchez Ruiz, della diocesi di San Andres Tuxtla (Veracruz, Messico), rapito sempre nel settembre scorso e poi rilasciato con evidenti segni di tortura. In questo caso, secondo Soriano-Núñez, appare quanto mai probabile che il rapimento sia stato legato alla forte attività pastorale e alle frequenti denunce contro la corruzione effettuate dal sacerdote. Altro esempio luminoso è stato quello di padre John Ssenyondo, sacerdote comboniano originario dell’Uganda, ritrovato in una fossa comune nello stato del Guerrero in seguito alla sua decisa presa di distanza dai delinquenti e trafficanti locali, i quali, spiega il sociologo, “tendono ad avvicinare i sacerdoti per ricevere i sacramenti evidenziando così la loro rilevanza sociale”.

Le sfide per la Chiesa. Di fronte a questi casi la Chiesa messicana si sente chiamata a mettere in pratica le parole, certo esigenti, pronunciate quasi un anno fa, durante la sua visita in Messico, da Papa Francesco.

Nel suo discorso ai vescovi usò l’immagine della “metastasi” per definire la pervasività della violenza nella società messicana, chiese non “condanne generiche” ma un “coraggio profetico” e l’elaborazione di un “serio e qualificato progetto pastorale” che coinvolga in primo luogo le famiglie e poi le periferie umane ed esistenziali, le istituzioni educative e sociali.

Negli ultimi mesi sono stati diversi i pronunciamenti della Chiesa messicana e dei singoli vescovi. E un forte richiamo era giunto qualche giorno prima da un documento firmato dai vescovi responsabili delle otto Commissioni ecclesiali più impegnate a livello sociale, con la richiesta, rivolta soprattutto alle istituzioni, “di guardare alle comunità, alle città e ai quartieri e di lasciarsi interpellare da ogni famiglia e persona che soffre, non solo per l’aumento del carburante, ma per la povertà che cresce da decenni, per la corruzione che permane e per e la continua dipendenza delle decisioni dai mercati internazionali”. Il documento invitava “tutti, specialmente i cristiani, a impegnarsi e partecipare come cittadini, a sentire il bisogno di entrare in dialogo con i diversi attori sociali”. Auspicando un’attenzione pastorale complessiva e integrale, sulla scia delle parole del Papa. Ammette padre Mendoza: “Spesso il nostro sforzo pastorale è stato manchevole o, almeno, insufficiente. Siamo chiamati a evangelizzare in un contrasto violento con un approccio di pace. Per questo, dobbiamo essere audaci, creativi, coraggiosi. Un’attenzione speciale ci è richiesta per i giovani, che sono i più colpiti dalla violenza”.

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