Non è sempre guerreggiata questa “terza guerra mondiale a pezzi”, ma l’immagine ormai famosa proposta da Papa Francesco resta la chiave più persuasiva di spiegazione del quadro internazionale. La frontiera del Donbass lo dimostra: il conflitto cova sotto la cenere di una fragile tregua e viene riattizzato in relazione al quadro sistemico. Più strutturalmente nel disordine di una globalizzazione a propulsione finanziaria e delle crescenti diseguaglianze negli Stati tra le persone e i ceti e tra gli Stati – che il Papa denuncia spesso in solitaria – cresce il tasso di insoddisfazione e, dunque, di conflittualità.
Si moltiplicano così in giro per il mondo leader muscolosi e forti o almeno che tali si propongono, come risposta ad una confusione sistemica.
Allora il presidente degli Stati Uniti resta e sempre più si afferma come il Comandante in capo, per il presidente della Federazione Russa si rispolvera il titolo di zar, per il presidente della Turchia, che sta compiendo una rilevante riforma costituzionale, quello di “sultano”, per non parlare del presidente della Repubblica popolare cinese, che è insieme capo dello Stato, segretario del partito comunista e presidente della commissione militare centrale.
Specularmente alla rarefazione dei “ricchissimi”, passati ad otto, abbiamo la rarefazione dei “presidentissimi”, ormai meno dei G7 o G20 che pure continuano a riunirsi. A cascata si generano processi, su scala minore, ma della medesima intensità, di verticalizzazione e di concentrazione.
A tutti i livelli si moltiplicano le scuole di leadership.
Ottima cosa, a patto che si abbia una visione sistemica e umanistica, ovvero si lavori non solo sul vertice, ma anche sull’insieme del corpo sociale. La parola infatti che si accosta necessariamente a “leader” è “solitudine”. Per cui occorre lavorare su tutta la catena istituzionale e sociale, proprio per produrre una leadership di qualità, finalizzata al bene e allo sviluppo di tutti e di ciascuno.
Recentemente è stata riproposta una citazione di Giovanni Paolo II, visitando, il 3 novembre 1984, il collegio fondato da San Carlo Borromeo: “I capi non s’improvvisano, soprattutto in epoca di crisi. Trascurare il compito di preparare nei tempi lunghi e con severità d’impegno gli uomini che dovranno risolverla, significa abbandonare alla deriva il corso delle vicende storiche”.
Oltre trent’anni dopo, di crisi in crisi, il monito e la ricetta restano attualissimi.
Solo un tessuto vivo e un traguardo lungo genera leader, ovvero capi, capaci e responsabili, specchiati, che sappiano andare oltre la gestione degli interessi a breve.
Nella storia e nella storia europea recente, esempi ce ne sono, a cominciare dai padri delle Comunità europee, che ha senso oggi ricordare e festeggiare proprio in questa linea. Come fu per la seconda guerra mondiale, può essere un modo per porre fine anche a questa, a pezzi, e non meno cruenta e distruttiva, proprio e prima di tutto di risorse umane.
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