Di Gianni Borsa

Il Consiglio europeo “informale” (secondo una curiosa definizione ufficiale), svoltosi a Malta venerdì 3 febbraio, dove si è discusso principalmente di migrazioni e, a margine, del futuro dell’Ue, ha evidenziato alcune conferme, ha portato qualche novità e ha lasciato sul terreno molteplici nodi irrisolti.
Le conferme. Quando si affronta il tema migratorio ci sono di mezzo vite umane: per cui non sono consentite banalizzazioni, semplificazioni, levate di scudi o vuoti slogan razzisti, come accade sempre più spesso anche da dichiarazioni di politici irresponsabili. Inoltre si ha conferma che la complessità stessa del fenomeno ha cause remote ma ricadute urgenti: una risposta a tali, crescenti flussi di persone in fuga da povertà e violenza non può che considerare le une e le altre, prospettando interventi immediati e azioni di più lungo respiro. Terza conferma: i movimenti migratori sono un aspetto strutturale della nostra epoca e hanno orizzonti mondiali: vanno affrontate con tale visione e sono, in tal senso, “problema” di tutti gli Stati; forse a Malta se ne sono accorti anche quei – numerosi – governi di Paesi membri dell’Ue che hanno finora girato la faccia dall’altra parte, sperando di lasciare tutto il peso su Italia, Malta e Grecia.
La novità è duplice. L’Italia ha presentato a Malta, tramite il premier Paolo Gentiloni, l’accordo siglato il 2 febbraio con il governo libico di Fayez al Sarraj, per ridurre le partenze di migranti verso l’Europa attraverso il mar Mediterraneo; l’accordo – questo il secondo aspetto – è stato apprezzato e sostenuto da tutti i leader presenti, con un “sì” unanime. Il contenuto dell’accordo e l’appoggio Ue sono stati efficacemente riassunti dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. “Abbiamo concordato misure operative immediate che dovrebbero contribuire a ridurre il numero dei migranti irregolari e nel contempo salvare vite umane”. “Forniremo – ha spiegato il politico polacco – formazione, equipaggiamento e supporto alla guardia costiera libica per fermare i trafficanti di esseri umani e rafforzare le operazioni di ricerca e salvataggio. Erogheremo assistenza economica alle comunità locali in Libia per migliorare la loro situazione e aiutarle a dare ricovero ai migranti bloccati. Collaboreremo inoltre con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni al fine di intensificare i rimpatri volontari dalla Libia verso i Paesi di origine. Tali azioni prioritarie saranno attuate mediante ulteriori fondi europei. Ovviamente agiremo nel pieno rispetto dei diritti umani, del diritto internazionale e dei valori europei”. In questa direzione è stato “accolto con favore il memorandum d’intesa firmato dal primo ministro italiano e da quello libico come un ulteriore segnale importante e incoraggiante che la situazione sta per cambiare in meglio. L’Unione europea e le nostre azioni sosterranno l’Italia e la Libia. È una responsabilità che condividiamo”.
Non da ultimo i (tanti) nodi irrisolti. Qui l’elenco è davvero articolato. Anzitutto le obiezioni giunte da Migrantes, Caritas e ong di vario calibro che operano per l’accoglienza e integrazione dei migranti: l’accordo con la Libia è siglato con un governo che controlla solo una parte del territorio nazionale per cui le partenze dei barconi e la tratta potrebbero spostarsi geograficamente, lasciando però irrisolto il problema degli esodi via mare; resta poi tutto da approfondire il discorso dei campi profughi in Libia e in altri Paesi africani, in situazioni disumane; interrogativi suscitano quindi le modalità con le quali avverrebbero i rimpatri dalla Libia ai Paesi di partenza dei migranti.
Altre questioni aperte riguardano: il reale rispetto, sempre nel campo delle migrazioni di massa, del diritto internazionale e del diritto di asilo, che sono punti fermi di qualsiasi civiltà moderna; la necessità di trovare fondi e risorse umane per sostenere il pur ben disposto governo di Tripoli per frenare i flussi; la condivisione delle responsabilità circa l’accoglienza e l’integrazione delle centinaia di migliaia di migranti che in Europa sono già arrivati, senza scaricare tutto sull’Italia (è l’impegno dei ricollocamenti dinanzi ai quali i partner Ue fanno orecchie da mercante); la messa in moto di reali progetti di sostegno e di cooperazione allo sviluppo con l’Africa (ma non solo), per aiutare il continente più povero del pianeta a crescere ed emanciparsi, dove i suoi “figli” possano trovare un’esistenza degna, evitando loro di dover fuggire da casa per costruirsi una vita altrove.

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