Dare spazio vero e fattuale al “catecumenato matrimoniale” e al ruolo dei parroci come maestri e testimoni, nonché primi consulenti sul territorio, prima che nella fase previa alla presentazione dell’istanza di nullità, anche nei tempi di preparazione dei nubendi al matrimonio e in quelli immediatamente successivi. Sono alcune proposte emerse nel corso di formazione sul nuovo processo matrimoniale promosso dal Tribunale apostolico della Rota Romana, che si è chiuso con l’udienza e il discorso del Papa e al quale nei giorni scorsi hanno partecipato circa 350 parroci da diverse regioni e continenti. Ne abbiamo parlato con monsignor Pio Vito Pinto, decano della Rota Romana.
Perché cominciare dai parroci, per “formare” al nuovo processo matrimoniale introdotto dal Papa?
Perché la parrocchia è il luogo della Chiesa viva, dove la Chiesa opera e prende impegni. Il matrimonio è un vincolo molto importante: per questo Papa Francesco parla di catecumenato.
Il Papa dice ai parroci che devono essere loro ad insegnare ai catecumeni, ed il primo compito da svolgere è quello di accettare, di accogliere la domanda.
I corsi per fidanzati, che vanno organizzati mesi e mesi prima della data del matrimonio, sono un percorso che i parroci sono chiamati a fare con loro, coadiuvati dai laici, per aiutare coloro che si preparano al matrimonio a conoscere quello che Cristo, Dio e la Chiesa come ministra vogliono che sia il consenso – che deve essere sempre libero – al sacramento.
Nelle parrocchie dove questo si fa, dove si crea un tale contesto, sono i parroci i maestri, “le colonne” della Chiesa, come li definiva già Paolo VI.
Il catecumenato matrimoniale, proposto da Papa Francesco, nelle nostre parrocchie è già una realtà?
Bisogna stare attenti ai tempi, alla sapienza dei tempi: ogni Chiesa deve sapersi interrogare sui tempi che detta lo Spirito Santo. “Il tempo è superiore allo spazio”, si legge nell’Evangelii Gaudium. Inoltre, nella stessa Esortazione apostolica, Papa Francesco ci ricorda la necessità di “una pedagogia che introduca le persone, passo dopo passo, alla piena appropriazione del mistero”. Per giungere ad un punto di maturità, cioè perché le persone siano capaci di decisioni veramente libere e responsabili, è indispensabile dare tempo, con una immensa pazienza. Come diceva il beato Pietro Fabro: “Il tempo è il messaggero di Dio”.
Questo è un principio che vale per tutte le realtà che hanno attinenza con la comunità ecclesiale.
Papa Francesco, pastore vero, sente in modo molto vivo la realtà concreta in cui si trovano oggi molte famiglie, avendo constato, nel suo lungo ministero sacerdotale, tanti fallimenti e situazioni difficili e tristi.
C’è bisogno di una Chiesa come “ospedale da campo”, per usare un’altra sua immagine: bisogna cambiare sensibilità, ma anche correggersi, passando da un modo formale di preparazione dei fidanzati al matrimonio ad una modalità più vera e concreta, meno sbrigativa, che vada al di là di qualche incontro prima delle nozze.
“Né lassismo, né rigorismo”, è la linea indicata dal Papa nell’Esortazione post-sinodale Amoris Laetitia …
Come ha detto il cardinale Schönborn durante il nostro corso, tutti gli “ismi” sono sbagliati, specialmente in un campo delicato come quello delle situazioni di difficoltà delle famiglie. Per questo bisogna uscire dal piano delle idee astratte e incarnarsi nella tessuto concreto della comunità: a differenza di uno specialista – come un membro dei tribunali, o di un docente di diritto canonico – il parroco è in grado di individuare gli “ismi” che potranno impedire lo sviluppo, o hanno creato il fallimento, nella coppia singola che ha di fronte, e la prova essenziale è nei fatti.
Nell’ultimo discorso alla Rota Romana – che, come tutti gli altri analoghi discorsi suoi e degli altri Pontefici, è un atto magisteriale – Papa Francesco afferma che non si può portare la gente al consenso se non si è fatto prima uno sforzo catecumenale, in materia di preparazione al matrimonio.
Quanto è diffuso il ruolo del parroco come “consulente” nella fase previa alla presentazione della richiesta di nullità, e quanto sono presenti sul territorio gli uffici diocesani, la cui costituzione è raccomandata in “Mitis Iudex”?
Durante il Sinodo sulla famiglia, a cui ho partecipato – per evitare il rischio di un appiattimento solo sul piano burocratico – i vescovi hanno insistito affinché si rivedano tali strutture. Gli uffici giuridico-pastorali voluti da Mitis Iudex devono essere l’orecchio, il luogo di accoglienza, lo spazio di prossimità e di accompagnamento per poter intercettare e rispondere in maniera più adeguata, come esorta a fare il Papa, alle istanze del territorio.
Bisogna passare, insomma, dalla “forma” al territorio, intercettandone le richieste e i bisogni.
Papa Francesco in Evangelii gaudium invita, parroci e laici impegnati in parrocchia, ad essere: “uomini e donne che, a partire dalla loro esperienza di accompagnamento, conoscano il modo di procedere, dove spiccano la prudenza, la capacità di comprensione, l’arte di aspettare, la docilità allo Spirito… Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire. La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimità, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale. L’ascolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla condizione di spettatori. Solo a partire da questo ascolto rispettoso e capace di compatire si possono trovare le vie per un’autentica crescita, si può risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere pienamente all’amore di Dio e l’anelito di sviluppare il meglio di quanto Dio ha seminato nella propria vita”.
Che rapporto c’è tra il parroco e il vescovo, nell’affrontare le sfide del nuovo processo matrimoniale?
Il vescovo è il “ giudice nato” nella Chiesa particolare: a lui spetta il giudizio nel processo “breviore”. Il vescovo è la fonte, il sacramento, come diceva già sant’lgnazio di Antiochia, che nello stesso tempo si chiedeva: “Dove vado io senza i presbiteri?”. “Dove va il presbitero senza vescovo?”, potremmo aggiungere noi, a proposito del nesso inestricabile tra le due figure: il vescovo è niente senza i parroci. Egli ha assoluto bisogno dei presbiteri che, come afferma il Concilio sono suoi “necessari collaboratori”.
Cosa risponde a chi sostiene che Papa Francesco, con le nuove norme sul processo, voglia “fare sconti” sul sacramento del matrimonio?
Papa Francesco, con l’Esortazione post-sinodale Amoris Laetitia e con i due Motu proprio sul processo matrimoniale, non ha mai messo in dubbio l’indissolubilità del sacramento del matrimonio. Proprio per ribadirla, ha voluto dare maggiore fiducia a parroci e vescovi, che sentono la responsabilità del loro compito nel difendere la sacralità del vincolo matrimoniale. Il Santo Padre ha fiducia nella consacrazione episcopale: certo, i vescovi sono uomini e come tali possono anche sbagliare, ma nelle loro Chiese particolari sono “i dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita” (Lumen gentium, 25).
È questa la ragione teologica di Papa Francesco: credere nell’Episcopato.
I vescovi, “che per divina istituzione sono successori degli Apostoli, mediante lo Spirito Santo che è stato loro donato, sono costituiti Pastori della Chiesa, perché siano anch’essi maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto e ministri del governo” (can. 375) non hanno bisogno di titoli giuridici, ma non per questo non devono curare la loro formazione giuridica e farsi aiutare dalle figure che hanno la competenza adeguata in questo campo. Ogni vescovo, potremmo dire, è “giudice nato” ma diventa giudice maturo” attraverso la sua continua formazione.
Lei ha parlato ai convegnisti, tra l’altro, dell’obbligatorietà della nullità, come “dovere morale” da concedere, ove ve ne sia la possibilità, alle coppie per poter contrarre nozze nella pienezza del sacramento …
È la natura della “salus animarum”: la salvezza non può essere costretta, ad esempio da un atteggiamento di chiusura da parte dei vescovi. Ci vuole una Chiesa dalle porte aperte: una Chiesa in uscita, capace di andare là dove sono le persone. La Chiesa vive nella parrocchia, e la parrocchia è l’ospedale da campo sognato da Papa Francesco, in grado di accogliere e curare chi è ferito in vario modo dalla vita: “preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comunità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”, scrive il Papa.
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