RIPATRANSONE – Ringrazio innanzi tutto quanti mi hanno scritto a settimanaleancora@gmail.com e posto vari argomenti sui quali riflettere insieme. Mi trovo costretto a fare una selezione tenendo conto i tempi dell’attualità.

A seguito della mia provocazione nell’ultima mia risposta su «i precetti della Chiesa», questa settimana le richieste su questo argomento sono state molte e diversificate tra il serio e il faceto, sull’attualità o meno di queste pratiche della Dottrina Cattolica specialmente quella riguardante «l’astenersi dal mangiar carne e osservare il digiuno nei giorni stabiliti dalla Chiesa».

Non intendo sostituirmi ai Catechisti, desidero solo ricordare a tale proposito la nota della Conferenza Episcopale Italiana sul «senso cristiano del digiuno e dell’astinenza» del 1994 e la stupenda Costituzione Apostolica “Paenitemini” di Paolo VI.

Aggiungo soltanto: Il digiuno e l’astinenza, nella loro originalità cristiana, presentano anche un valore sociale e comunitario: chiamato a penitenza non è solo il singolo credente, ma l’intera comunità dei discepoli di Cristo . Per rendere più manifesto il carattere comunitario della pratica penitenziale la Chiesa stabilisce che i fedeli facciano digiuno e astinenza negli stessi tempi e giorni: è così l’intera comunità ecclesiale ad essere comunità penitente. Questi tempi e giorni, come scrive Paolo VI, vengono scelti dalla Chiesa «fra quelli che, nel corso dell’anno liturgico, sono più vicini al mistero pasquale di Cristo o vengono richiesti da particolari bisogni della comunità ecclesiale». Fin dai primi secoli il digiuno pasquale si osserva il Venerdì santo e, se possibile, anche il Sabato santo fino alla Veglia pasquale: così come si ha cura di iniziare la Quaresima, tempo privilegiato per la penitenza in preparazione alla Pasqua, con il digiuno del Mercoledì delle Ceneri…” ( L’astinenza nei Venerdì di Quaresima). Il tutto può essere facilmente trovato su Internet.

A questo punto mi permetto un mia riflessione sul «DIGIUNO: Roba d’altri tempi?»

 Spagino un po’ di dizionari e li trovo monchi sulla parola “digiuno”. Astenersi dal cibo, va bene, ma non basta se non aggiungiamo il perché. Ogni azione per non essere avventata ha bisogno di una spiegazione. C’è chi digiuna perché non ha nulla, c’è chi lo fa perché si è accorto che il troppo gli ha fatto male, c’è chi ama il proprio fisico da “stuzzicadenti”, c’è chi lo fa per scelta con motivazioni ben precise. Certamente fa sorridere oggi parlare di digiuno dietro certi carrelli ai super-mercati che sembrano muoversi da soli, spinti da persone nascoste dietro una montagna di pacchi e pacchetti. Necessario e superfluo si fondono e forse più questo secondo che il primo. Ricordare estenuanti file mattutine per prendere la “pagnottina” (sempre più ina) della tessera, mentre si è in coda, schiacciati tra carrelli stracolmi ed un “armamentario di “bancomat o carte di credito”, si rischia di essere spacciati per “cavernicoli”. Eppure quella è stata la palestra del rispetto del cibo; di un semplice soffio per il pane caduto per terra e non buttato nel cestino della spazzatura. E la mente torna a quel triste pomeriggio dell’infanzia, quando il povero Maresciallo Nardone che fa parte della nostra storia, con le lacrime agli occhi fu costretto dagli ordini superiori, a bussare ad alcune abitazioni per arrestare mamme e padri di famiglia con l’accusa di aver complottato contro lo stato, per mezzo sacco di farina comprato di nascosto, per aggiungere un po’ di “pepé” alla magra cena ed evitare con ciò i singhiozzi notturni. Mi portarono via, una triste sera, mia madre tra le urla scomposte di chi l’accusava di voler “affamare il popolo”, in nome del quale erano sparite tutte le pentole di rame appese alle pareti della cucina e ,sempre in nome del quale, in attesa di rubare la fede ai cristiani, avevano sfilato le “fedi nuziali” ai nostri genitori. E per alcuni giorni fu digiuno completo. Fare certe azioni in nome del popolo, un’abitudine che sembra sia rimasta.

Ma nella nostra società del consumismo, il richiamo al DIGIUNO ha senso solo se giustamente interpretato. “Il digiuno- scrive il teologo Padre Spidlik – è invito alla condivisione con chi soffre”. Lo scrittore René Lejune aggiunge in un saggio:” Il digiuno è teandrico, esprime cioè l’umano e il divino che sono in noi”.Gli ultimi Pontefici ci hanno chiesto talvolta un gesto concreto da fare tutti insieme per ottenere il dono della PACE. Hanno gridato ad un cedimento da parte del Papa, per certe coincidenze nei confronti del Ramadan  e non si è capito che si può usare lo stesso linguaggio per almeno intendersi su questo punto: La Pace.

Riscopriamo il vero significato del “digiuno” e facciamo si che l’astinenza, come ci suggeriscono i nostri Vescovi in una nota pastorale, non riguardi solo il cibo, ma anche l’alcol, il fumo, le spese superflue, il divertimento smodato e il ricorso esagerato alla televisione.

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