DIOCESI – Nell’avvicinarsi della festa di Pasqua desideriamo esprimere la gratitudine della Chiesa per il vostro servizio e augurarvi che l’amore grande di Cristo possa toccare la vostra vita. Come già sapete per operare in Caritas non basta avere del tempo libero, ma è necessario portare fino alla croce di Gesù le proprie miserie, le proprie pochezze e le proprie povertà che, sebbene diverse, ritroviamo nei fratelli e nelle sorelle che ogni giorno la provvidenza ci fa incontrare. Bisogna ripartire da qui per non cadere nel facile e inutile giudizio che mai spetta all’uomo, ma solo a Dio !
Il cammino quaresimale, che ci ha visto incamminati per spazi sempre più desertificati di questo nostro mondo, ci porta fino al Golgota per imparare alla scuola del Crocifisso come si ama l’inamabile. Solo l’amore infatti guarisce, ridona vita, genera speranza! Ed è solo per merito di questo amore che si può stare in ‘Caritas’ dove ci è chiesto, prima ancora di servire, di condividere le gioie e le speranze, le fatiche e le lacrime, di chi arriva portando non solo le proprie povertà ma anche tante risorse, di cui abbiamo veramente bisogno. Nessuno è così povero da non poter offrire almeno un sorriso o un abbraccio!
La nostra meta però rimane il giardino di Giuseppe di Arimatea. Questo è il nostro sogno e il nostro impegno: camminare insieme da sotto la croce fino al luogo dove i sepolcri rimangono vuoti! La condizione necessaria credo sia quella di non fare come le prostitute che ‘amano tutti e non amano nessuno’. L’amore parla di volti, di nomi, di gratuità, di storie sempre straordinarie e diverse. Dio ci liberi dal diabolico ‘egualitarismo’: non si può e non si deve amare tutti allo stesso modo! Ognuno va accolto nella sua unicità e irripetibilità, senza farsi condizionare dalle opinioni altrui e da quello che può essere lo sparlare di chi non sa e non conosce. Per ciascuno va cercato il proprio bene che non può essere se non il bene che abbiamo e desideriamo per noi.
Al Risorto chiediamo la forza per non conformarci alla mentalità di questo mondo sempre più segnata dalla cultura della morte: la lamentela, la critica sterile e non costruttiva, lo sparlare in modo farisaico sull’operato dell’altro uccidono la speranza. Non possiamo essere i soliti profeti di sventura che vedono il male ed impediscono di sperimentare la risurrezione. La Pasqua è il tempo e lo spazio dove la morte, e non solo quella fisica, diventa null’altro che possibilità di vita piena, gioiosa e per sempre.
Carissimi, sappiamo già che vi lasciate amare da Colui che ha detto “Io sono la risurrezione e la vita” ( Gv 11,25), ma è necessario non abbassare la guardia di fronte all’azione del maligno che ama seminare zizzania, che è padre della disperazione e della menzogna, che è esperto nel preparare trabocchetti per farci cadere dentro il buio di qualche sepolcro.
Auguriamoci davvero che la Pasqua sia motivo per fare della Caritas il giardino dalla tomba vuota. Ci saranno sempre coloro che metteranno in giro delle chiacchiere, lo fecero a loro tempo gli scribi e i farisei, ma come la Maddalena, gli apostoli e tantissimi altri che ci hanno preceduto, non ci stanchiamo di ripetere che Cristo è risorto ed è possibilità di risurrezione per tutti. Nessuno escluso. Anche per chiunque bussa alla Caritas alla ricerca di un po’ di pane, un po’ di affetto e un luogo dove sentirsi casa.
Purtroppo, capita ancora oggi, quanto è già successo a Gerusalemme dove, proprio il Figlio di Dio, viene messo fuori dalle mura della propria città e dalla stessa gente che pensava di essere più religiosa degli altri. Troppi uomini e donne, che hanno la stessa nostra dignità, sono considerati uno ‘scarto’. Non deridiamoli, non giudichiamoli, non releghiamoli dietro a quei muri di separazione che si continuano a costruire senza sapere che, prima o poi, ci imprigioneranno. Volgiamo il nostro sguardo, il nostro cuore, le nostre mani a Cristo perché gli inamabili, qui ed ora, possano sentirsi ancora amati.
Santa Pasqua
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