ZENIT / di Egidio Chiarella
Nella quinta domenica di Pasqua l’evangelista Giovanni ci consegna un sapiente invito di Gesù, necessario a mettere in moto la parte migliore di noi, senza alcun timore del buio che ci circonda. “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”. La malattia del secolo è proprio il persistente turbamento del cuore. La gente è sempre alla presa con mille problemi che la velocità dei tempi incastra l’un l’altro, con riflessi a volte devastanti; altre meno invadenti, ma comunque sempre attivi nel rendere la mente offuscata o comunque arresa alle tante preoccupazioni. Come reagire? Cosa fare per non essere vittime giornaliere di angosce e inquietudini?
La società odierna si prodiga ad offrire mille soluzioni, di solito legate ad un modello consumistico e sofisticato della realtà. Le formule promosse sono confezionate in sofisticate mozioni artificiali, capaci di far evadere ognuno dal problema di turno, ma senza rafforzare le radici ontologiche della propria esistenza umana. Finito l’effetto placebo, il cuore rispolvera il suo intimo disordine, mentre compaiano le ansie assopite tra gli effetti speciali di cui oggi siamo un po’ tutti solerti fruitori. La reazione che bisogna avere dinnanzi ad un qualsiasi turbamento, per non cadere nella pesantezza degli affanni quotidiani, non può non passare dalla conoscenza della verità.
Quest’ultima non viene dagli uomini, qualsiasi sia il loro “piano industriale” per addolcire i cuori, ma dalla verità della Parola di Cristo che prepara il terreno per una fede forte nel Padre e nel Figlio. Senza questa sicurezza interiore ogni turbamento si rifugia in mille altre strade, ignorando la vera verità che Dio ha consegnato ad ogni uomo per superare le sofferenze e le miserie temporali. Non sono certo le scorciatoie dell’ultimo momento, maestre nel tentare chiunque ad evitare qualsiasi forma di sacrificio, a guidare un cuore in pena verso la serenità agognata. Urge perciò, anche in un mondo materializzato e telematizzato al massimo, ritrovare la fede nel Creatore e in Cristo Gesù.
È il Figlio dell’Uomo che attualizza le promesse di Dio, fatte attraverso i profeti del Vecchio Testamento, nella concretezza vitale di un passaggio storico. Il vangelo infatti risponde a tutti i quesiti del giorno nei tanti settori umani: dalla politica, all’economia; dalla cultura alla creatività artistica; dalla famiglia ai vari gruppi sociali; dal lavoro ad ogni relazione tra le persone. Il credente non si fermi solo alle pagine illuminate che garantiscono la venuta del Messia, ma faccia della sua missione terrena, così come della sua morte in croce e resurrezione, il proprio costante e chiaro punto di riferimento. Non c’è bisogno di nuovi farisei, né di numerosi “bonsai della fede”.
Chi crede ha bisogno di essere sempre in cammino e fare del sacrificio lo strumento utile per raggiungere ogni fine da perseguire. La stessa separazione tra Gesù e gli apostoli non è un allontanamento di rottura, ma di preparazione perché avvenga in ognuno quella trasformazione necessaria per il rafforzamento della fede. Un fine alto si raggiunge sempre con delle privazioni e con dei sacrifici. È così nella vita quotidiana, anche se la società odierna ci fa intendere come una possibile rinuncia non sia altro che una debolezza o quasi una sconfitta.
È questo un pensiero destabilizzante che porta soprattutto i giovani verso una filosofia di vita allettante, ma falsa nel suo Dna. Il sacrificio nello studio, nel lavoro, nella professione, nel raggiungimento di un obiettivo non porta mai sconfitte, ma risultati di grande rilievo per sé stessi e per il prossimo. Può succedere che magari il frutto desiderato non si gusti nell’immediato, ma la vita ha il potere di equilibrare ogni cosa quando meno te lo aspetti, soprattutto se il senso delle azioni compiute siano state mosse dal valore eterno della fede personale in Cristo. “Il Signore è il Pastore non manco di nulla”. In queste parole del Salmo (23) c’è la risposta alle tante incertezze.
Bisogna credere in questa verità, se si vuole addolcire ogni amarezza dell’animo e superare gli ostacoli incontrati lungo la via che conduce verso lo scopo prefissato. La preghiera dovrà essere di continuo il filo rosso che connette il cuore al Padre e al Figlio. Anche Cristo fu turbato nell’orto degli Ulivi, ma la verità della sua fede nel Padre lo fece preparare al calvario che lo attendeva. Il turbamento è una debolezza umana, ma la verità aiuta chi è inquieto dentro a non essere sopraffatto, ritrovando la giusta ragione di vivere. Credere nel Vangelo, ma anche in un uomo o in una donna illuminati dalla Parola, non certifica di per sé la propria conversione, perché lunga e continua è la strada da fare.
La verità e la fede vanno alimentate ogni giorno e senza pause di comodo. Si può comunque accettare un mistero, non preoccupandosi di alimentarlo. Risultato? Il rischio prima o poi di rinnegarlo o di viverlo in modo appiattito. Si diventa a questo punto dei “Bonsai”. Non si cresce, non si produce, non si raggiungono le virtù. Ci si accampa in un punto e si blocca ogni slancio graduale verso il cielo. Si cura l’aspetto esteriore, ma si rimane piccoli e bloccati dentro. Nulla si rigenera e la mediocrità regna sovrana. Essere “bonsai” nella fede significa illudere sé stessi e far male alla comunità in cui si vive.
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