COSSIGNANO – Domenica 18 giugno 2017, alle ore18.30, presso la chiesa/museo dell’Annunziata, verrà presentato dall’autore Dott. Eligio Ciabattoni il volume “Dizionario etimologico del dialetto di Cossignano” (con annessi: grammatica, etimologia e diffusione nazionale dei cognomi e dei soprannomi, proverbi vari), con gli indirizzi di saluto del Sindaco Roberto De Angelis e l’introduzione ad opera del Prof. Desiderio Passali, direttore della cattedra di ORL dell’Università degli Studi di Siena.
Si tratta di uno dei dialetti del Piceno meridionale, tra Fermo ed Ascoli, dove la parola “bambino/a” va da frìcu/frìca a frechì/frechìne; dove l’agg. “molto/i” è reso in svariati e coloriti modi: da mutuvè, prassà, na mùcchie, nu mendò, na fréche, fino all’ascolano fùria.
Questa diversificazione dialettale è il risultato della situazione storica medioevale che vide contrapporsi queste due città egemoni, che non portò all’unificazione dei castelli e delle terre, anzi favorì le scorrerie dei capitani di ventura (in primis gli Sforza).
Il dialetto cossignanese ha sue caratteristiche inconfondibili: 1) la ue presente in tutte le parole che hanno il digramma co/cu (Cuesegnà, cuenìll, cuecìne, traduz.: Cossignano, coniglio, cucina); 2) i dittonghi o metafonesi uo/ié presenti solo nelle parole di genere maschile (cuorp, suonn, martiéll, traduz.: corpo, sonno, martello); 3) la presenza costante della vocale muta o indistinta e che si pronuncia con un suono gutturale (rappresentata nel dizionario graficamente con la vocale e di proporzioni ridotte).
I dialetti sono testimonianze preziose di storia, di costume, di usanze; esprimono l’intelligenza, la fatica, la cultura delle popolazioni, sono l’espressione più diretta ed efficace per comunicare.
Se ha prevalso il volgare fiorentino sugli altri innumerevoli che si parlavano in Italia, ciò si spiega non solo col fatto che la Toscana era la terra dei civilissimi e colti Etruschi (i quali avevano imparato molto bene la lingua latina), ma anche perché questa terra ha dato i natali ai tre grandi scrittori trecentisti (Dante, Patrarca, Boccaccio) che scrissero le loro opere più importanti usando il dialetto fiorentino. La difficoltà di scrittura e di lettura ha rappresentato l’handicap per quasi tutti i dialetti italiani rispetto al fiorentino, divenendo la discriminante principale al momento della scelta della lingua nazionale, avvenuta nell’800.
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