DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto sulle letture di domenica 1 luglio.
Che cosa significa accogliere il Signore? Cosa il Signore “porta” nella nostra vita? Cosa ci vuol dire San Paolo nella sua lettera ai Romani, quando scrive: «Cristo morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù»?
Ce lo svela, molto semplicemente, la prima lettura di questa domenica.
Apparentemente siamo di fronte ad una normale situazione di vita: Eliseo, profeta di Dio, ogni volta che passa per la città di Sunem, è accolto in casa da una donna e da suo marito che, non solo gli mettono a disposizione del cibo ma che, nella loro stessa abitazione, gli hanno preparato «una piccola stanza superiore in muratura», con «un letto, un tavolo, una sedia e un candeliere; così, venendo da noi, vi si potrà ritirare».
«L’anno prossimo, in questa stessa stagione, tu stringerai un figlio tra le tue braccia»: è il contraccambio di Eliseo? Una forma di baratto a mo’ di ricompensa per quanto donato?
No! È il segno evidente, concreto, tangibile che, là dove Dio viene accolto, là dove è aperta la porta al Dio che bussa, proprio là la vita non può che traboccare.
Non si tratta di rinnegare alcun affetto umano. Dice Gesù nel Vangelo: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me». La vita in Dio non è certamente frutto di sottrazioni, di amori che si oppongono e contrastano, di qualcuno da lasciare e qualcun altro da prendere. Ogni essere vivente nasce come persona “appassionata” e quel malinteso spirito religioso che ci spinge a negare le nostre passioni, inaridisce le sorgenti della vita e rende molti di noi cristiani predicatori di cose morte. Gesù non chiede di rinnegare ma di lasciare che il desiderio di Dio non sia soffocato, spento, diminuito da ostacoli, ripensamenti, legami: questo permetterà a Dio stesso di far fiorire tutta la nostra umanità, così come è avvenuto per la donna di Sunem, che non si è risparmiata per il profeta Eliseo, per Dio stesso.
E’ proprio vero: «Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà».
La fedeltà di Dio, cantata dal salmista, è la nostra “garanzia” di una «ricompensa» che non è il premio per il raggiungimento del budget delle buone azioni o delle preghiere recitate o delle messe “ascoltate” ma è certezza di poter «camminare in una vita nuova…viventi per Dio, in Cristo Gesù»: «Canterò in eterno l’amore del Signore, di generazione in generazione farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà, perché ho detto: “E’ un amore edificato per sempre”».
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