Zenit, Paul De Mayer

Gesù sa che “molte cose” affliggono il cuore dell’uomo: “delusioni e ferite del passato, pesi da portare e torti da sopportare nel presente, incertezze e preoccupazioni per il futuro”. Lo ha sottolineato papa Francesco nella sua catechesi prima dell’Angelus di domenica 9 luglio 2017, basata sul Vangelo di Matteo (11,25-30).

Perciò l’esplicito invito rivolto da Gesù a noi di “venire” a Lui. “Lo sbaglio, quando le cose vanno male, è restare dove si è”, così ha dichiarato, spiegando che “nei momenti bui viene naturale stare con sé stessi, rimuginare su quanto è ingiusta la vita, su quanto sono ingrati gli altri e com’è cattivo il mondo, e così via.”

“Chiusi dentro di noi, vediamo tutto nero”, ha avvertito, anzi “si arriva persino a familiarizzare con la tristezza, che diventa di casa: quella tristezza ci prostra, è una cosa brutta questa tristezza”. La via d’uscita è “nella relazione, nel tendere la mano e nell’alzare lo sguardo verso chi ci ama davvero”.

Ma l’uscire da sé non è sufficiente, cioè “bisogna sapere dove andare”, ha detto Francesco, ricordando che molte mete sono “illusorie”, cioè il conforto o sollievo che offrono è molto volatile, anzi sono “fuochi d’artificio”.

Parlare con un amico o un esperto può essere utile, ma non occorre dimenticare Gesù. “Non dimentichiamo di aprirci a Lui e di raccontargli la vita, di affidargli le persone e le situazioni”, ha detto il Papa, che ha invitato i fedeli ad aprire a Lui anche quelle “zone” del nostro Io “che non hanno mai visto la luce del Signore”.

“Gesù ci aspetta, non per risolverci magicamente i problemi, ma per renderci forti nei nostri problemi”, ha proseguito Francesco, il quale ha aggiunto, che con Gesù arriva la pace nella nostra vita, quella duratura, cioè “quella che rimane anche nelle prove, nelle sofferenze”.

Offriamo di seguito il testo completo della catechesi di papa Francesco.

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel Vangelo di oggi Gesù dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). Il Signore non riserva questa frase a qualcuno dei suoi amici, no, ma la rivolge a “tutti” coloro che sono stanchi e oppressi dalla vita. E chi può sentirsi escluso da questo invito? Il Signore sa quanto la vita può essere pesante. Sa che molte cose affaticano il cuore: delusioni e ferite del passato, pesi da portare e torti da sopportare nel presente, incertezze e preoccupazioni per il futuro.

Di fronte a tutto questo, la prima parola di Gesù è un invito, un invito a muoversi e reagire: “Venite”. Lo sbaglio, quando le cose vanno male, è restare dove si è, coricato lì. Sembra evidente, ma quanto è difficile reagire e aprirsi! Non è facile. Nei momenti bui viene naturale stare con sé stessi, rimuginare su quanto è ingiusta la vita, su quanto sono ingrati gli altri e com’è cattivo il mondo, e così via. Tutti lo sappiamo. Alcune volte abbiamo subito questa brutta esperienza. Ma così, chiusi dentro di noi, vediamo tutto nero. Allora si arriva persino a familiarizzare con la tristezza, che diventa di casa: quella tristezza ci prostra, è una cosa brutta questa tristezza. Gesù invece vuole tirarci fuori da queste “sabbie mobili” e perciò dice a ciascuno: “Vieni!” – “Chi?” – “Tu, tu, tu…”. La via di uscita è nella relazione, nel tendere la mano e nell’alzare lo sguardo verso chi ci ama davvero.

Infatti uscire da sé non basta, bisogna sapere dove andare. Perché tante mete sono illusorie: promettono ristoro e distraggono solo un poco, assicurano pace e danno divertimento, lasciando poi nella solitudine di prima, sono “fuochi d’artificio”. Per questo Gesù indica dove andare: “Venite a me”. E tante volte, di fronte a un peso della vita o a una situazione che ci addolora, proviamo a parlarne con qualcuno che ci ascolti, con un amico, con un esperto… È un gran bene fare questo, ma non dimentichiamo Gesù! Non dimentichiamo di aprirci a Lui e di raccontargli la vita, di affidargli le persone e le situazioni. Forse ci sono delle “zone” della nostra vita che mai abbiamo aperto a Lui e che sono rimaste oscure, perché non hanno mai visto la luce del Signore. Ognuno di noi ha la propria storia. E se qualcuno ha questa zona oscura, cercate Gesù, andate da un missionario della misericordia, andate da un prete, andate… Ma andate a Gesù, e raccontate questo a Gesù. Oggi Egli dice a ciascuno: “Coraggio, non arrenderti ai pesi della vita, non chiuderti di fronte alle paure e ai peccati, ma vieni a me!”.

Egli ci aspetta, ci aspetta sempre, non per risolverci magicamente i problemi, ma per renderci forti nei nostri problemi. Gesù non ci leva i pesi dalla vita, ma l’angoscia dal cuore; non ci toglie la croce, ma la porta con noi. E con Lui ogni peso diventa leggero (cfr v. 30), perché Lui è il ristoro che cerchiamo. Quando nella vita entra Gesù, arriva la pace, quella che rimane anche nelle prove, nelle sofferenze. Andiamo a Gesù, diamogli il nostro tempo, incontriamolo ogni giorno nella preghiera, in un dialogo fiducioso, e personale; familiarizziamo con la sua Parola, riscopriamo senza paura il suo perdono, sfamiamoci del suo Pane di vita: ci sentiremo amati, ci sentiremo e consolati da Lui.

È Lui stesso che ce lo chiede, quasi insistendo. Lo ripete ancora alla fine del Vangelo di oggi: «Imparate da me […] e troverete ristoro per la vostra vita» (v. 29). E così, impariamo ad andare da Gesù e, mentre nei mesi estivi cercheremo un po’ di riposo da ciò che affatica il corpo, non dimentichiamo di trovare il ristoro vero nel Signore. Ci aiuti in questo la Vergine Maria nostra Madre, che sempre si prende cura di noi quando siamo stanchi e oppressi e ci accompagna da Gesù.

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