Una quindicenne e un gruppo di coetanei, una sera d’estate che avrebbe dovuto essere all’insegna del sano divertimento sullo “scoglione” di Marechiaro a Napoli. Poteva finire con qualche birra di troppo, stesi a guardare le stelle. Invece interviene un “qualcosa” a corrompere e a inquinare le dinamiche tra quei giovani; il gruppo assume improvvisamente le sembianze del branco e la serata si conclude con uno stupro. Poi si rincasa, magari ci si intrattiene ancora un po’ online sulla chat di whatsapp, si caricano i selfie della giornata e si scrivono quelle frasi tipiche adolescenziali, tipo “io e te sempre insieme”, come didascalia.
La quindicenne no, lei il telefono lo stacca, vuole isolarsi. Poi il giorno dopo si confida con un’amica e non sa bene raccontare neppure lei quanto accaduto.
Sarebbe interessante capire di quale natura sia quel “qualcosa” che riesce a muovere un intero gruppo di “bravi” ragazzi all’interno di un circolo violento, deviato e vizioso e che bracca e devasta la malcapitata di turno.
Gli psicologi spiegano che la devianza è un comportamento tipicamente di gruppo. Una sorta di macabra danza determinata dal bisogno di individuazione e, al tempo stesso, di inclusione. Un processo perverso avviato dalla ricerca adolescenziale dell’identità e completamente sbilanciato dall’assenza di un codice etico interiore, che invece a questa età dovrebbe già essere assimilato.
Il nocciolo della questione è adagiato sulla linea di demarcazione fra bene e male, a questa età a quanto pare pericolosamente labile.
Ma come si traccia questa linea nella tumultuosa e contraddittoria età giovanile?
C’è molta letteratura sul tema dell’etica e della morale nell’adolescenza. La psicologa Anna Rita Graziani nel suo volume “Adolescenti e morale” (Il Mulino, 2014) spiega che la coscienza morale nasce dal confronto di due zone separate del cervello: la sfera emotiva dialoga con la corteccia cognitiva, cioè con la zona più recente dal punto di vista evolutivo e quella responsabile dell’autocontrollo. In qualche modo nell’ambito di comportamenti tipici dell’età, come la ricerca della trasgressione e il senso di frustrazione nei confronti delle regole, dovrebbe innestarsi la capacità empatica di individuare i confini tra il sé e l’altro e la sensibilità morale dovrebbe emergere anche sulla scorta degli insegnamenti della famiglia e della scuola.
Nel momento in cui l’adolescente si trova a scegliere, pur se guidato dalla naturale tentazione di rimettere in discussione i comportamenti normativi acquisiti durante l’infanzia, dovrebbe invece aver assimilati i valori etici che lo connotano di umanità e che sono il frutto di una elaborazione critica, oltre che del bagaglio educativo. Soltanto la crescita interiore di una sana coscienza critica può fronteggiare la tendenza all’identificazione e all’adeguamento allo standard, che diventa pericolosissimo quando si offre come modello deviante. La coscienza etica è l’antidoto alle dinamiche omologanti del gruppo e allo strisciante sessismo che porta a degenerazioni drammatiche come nell’episodio citato in apertura.
Cambiano gli stili educativi, si passa dalla “famiglia morale” – come la definisce lo psicologo Massimo Ammaniti – a quella “affettiva”, passando per quella “indulgente” e perfino attraverso quella “indifferente e clamorosamente permissiva”. E in quest’ultima davvero non ci sono confini: non tra bene e male, ancor meno fra il sé e l’altro e la sua inviolabilità.
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