M. Chiara Biagioni
L’Europa è in crisi. Ma la sua debolezza non dipende né dalla minaccia di terrorismo né dalla sfida delle migrazioni. “L’Europa è in crisi di solidarietà”. Mancanza di solidarietà “tra i Paesi dell’Unione” lasciando l’Italia, la Grecia e la Spagna a risolvere da sole i flussi migratori e con i Paesi colpiti da guerre e povertà lasciandoli sprofondare nelle loro crisi. Lo afferma padre Heikki Huttunen, della Chiesa ortodossa di Finlandia, segretario generale della Conferenza delle Chiese europee (Kek), raggiunto dal Sir mentre partecipa al Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi riunito a Torre Pellice fino al 25 agosto. In questo contesto, sta diventando sempre più vitale la voce delle Chiese cristiane, per aiutare l’Europa a rimanere fedele al suo progetto originario.
Dopo Barcellona e la Spagna il terrore colpisce anche la Finlandia dove diverse persone sono state colpite a coltellate in un attacco nella città di Turku. La minaccia terrorismo in Europa sta seminando paura ma soprattutto ci sta obbligando a vederci gli uni gli altri come nemici. Come vincere questa deriva?
È scioccante vedere come i terroristi agiscono mettendo a segno attacchi che seminano morte e distruzione. Ed è normale che tutto questo provochi sgomento e paura. Ma lo scopo dei terroristi è proprio questo: dividerci, seminare sospetto nelle nostre società, destabilizzare le nostre democrazie, mettere in crisi la nostra apertura. Penso, quindi, che la prima cosa per vincere questa sfida, è proprio quella di
reagire facendo esattamente il contrario di quello che ci stanno spingendo a fare i terroristi e, cioè, rafforzare i nostri principi di tolleranza, fraternità e democrazia.
In questo clima di paura, l’Europa sta affrontando un’altra sfida che la sta mettendo in crisi: l’arrivo di persone in fuga dai Paesi del Medio Oriente, colpiti dalla guerra, e dall’Africa. Alcuni rispondono a questa emergenza invocando la chiusura delle frontiere. Altri la vivono con paura. Quale la risposta giusta?
Ci sono molti aspetti da sottolineare e la questione è complessa. Prima di tutto va detto che è normale che le persone si muovano e che la crisi dei rifugiati non deve essere vista solo dal punto di vista europeo ma anche dal punto di vista delle persone che stanno fuggendo. I rifugiati scappano da contesti che sono per ragioni diverse profondamente in crisi. La crisi è la loro, non la nostra. Ciò che manca a noi in Europa è avere questa visione chiara della situazione. L’altra considerazione richiama i Paesi che per ragioni geografiche ricevono i flussi maggiori delle migrazioni. Paesi come l’Italia, la Grecia, Malta, la Spagna. Questi Paesi hanno bisogno della solidarietà degli altri Paesi in Europa e questa è la nostra vera crisi. La crisi che stiamo vivendo oggi in Europa è una crisi di solidarietà. Se consideriamo poi i numeri reali di chi arriva, ci accorgiamo che non siamo di fronte a cifre così grandi da costituire una minaccia o rendere impossibile una gestione.
Se tutti i Paesi insieme collaborano, l’accoglienza è possibile.
E se consideriamo poi che le economie di alcuni Paesi hanno bisogno di giovani per prendersi cura un giorno di noi, ci rendiamo conto che l’Europa ha addirittura bisogno delle migrazioni.
In che cosa ha quindi sbagliato l’Europa nel gestire il fenomeno migratorio?
Non ha avuto una visione chiara su quanto stava succedendo ed ha compiuto una serie di errori lasciando la gestione delle migrazioni alle forze criminali.
Abbiamo lasciato che le persone pagassero cifre altissime ai criminali per attraversare il Mediterraneo o percorrere altre vie di fuga verso l’Europa. Abbiamo permesso che le persone morissero nel tentativo di farlo e la rete dei criminali si rafforzasse. Se i nostri governi avessero agito prima e in modo concreto per evitare tutto, se avessero pensato a vie di entrata legali e sicure, per tutti, se avessero coordinato le azioni di soccorso e accoglienza, avremmo oggi una situazione completamente diversa. E c’è un altro errore che stiamo commettendo ed è quello che oggi stiamo facendo con le persone che sono arrivate in Europa e stanno vivendo e lavorando nelle nostre città ma non hanno documenti. Stiamo creando cittadini di serie B in Europa: persone obbligate a vivere illegalmente nell’ombra, senza sicurezza, senza diritti, senza che i loro bambini possano andare a scuola… Se dunque abbiamo molti fronti su cui lavorare e migliorare qui in Europa, allo stesso tempo siamo anche chiamati a chiederci che cosa stiamo facendo perché le persone in Siria o in Iraq possano rimanere nei loro Paesi. Cosa facciamo per aiutare le economie africane a diventare più forti permettendo così alle persone di rimanere nelle loro terre e ai giovani di avere speranza. Temo che noi non stiamo guardando con sufficiente critica il sistema delle economie europee.
Lei parla come papa Francesco. Anche lui ha sempre usato parole forti rivolgendosi ai vertici europei esprimendo il sogno “un nuovo umanesimo europeo” e la speranza che l’Europa ritrovi le sue radici. Cosa pensa del ruolo di papa Francesco?
È un contributo grande per l’Europa.
Quello che più apprezziamo in questo Papa è che lui parla per tutti i cristiani.
Siamo quindi molto grati per il ruolo che sta svolgendo come avvocato dei poveri, difensore dell’ambiente, voce per la giustizia nel mondo. La sua non è una voce che cade dall’alto. Il Papa è una persona credibile: nel suo stile di vita e nel suo modo di lavorare e agire, possiamo vedere quanto sia vicino alle persone. Penso che è esattamente quello di cui tutte le nostre Chiese hanno bisogno. Abbiamo bisogno di una nuova credibilità agli occhi delle persone perché, a causa di errori, che noi stessi abbiamo compiuto, abbiamo perso fiducia e credibilità. Ora se seguiamo l’esempio di papa Francesco e di altri leader della Chiesa come, per esempio, il Patriarca Bartolomeo, la Chiesa può essere di nuovo ascoltata.
In un’Europa che sembra aver smarrito le sue radici e il suo umanesimo originario, emerge l’esigenza di sentire la voce delle Chiese. In passato, sono state indette Assemblee ecumeniche europee e sono stati luoghi di incontro e azione comune. L’ultima si è tenuta nel 2007 a Sibiu in Romania. Ritiene possibile e necessario promuovere in un futuro abbastanza prossimo un evento di questo tipo?
Sì, assolutamente. È importante e non è solo lei a porre questa domanda. Abbiamo bisogno di questo stile “alla papa Francesco” nell’ecumenismo che spinge verso qualcosa di concreto, vicino alle persone, aperto al mondo e, al tempo stesso, radicato nella fede cristiana. Essere radicati in quello che siamo e aperti agli altri. Ma dobbiamo anche ammettere che gli organismi ecumenici esistenti, sono deboli. La mia organizzazione, la Kek, non è forte ed ha un piccolo budget
Quello che quindi possiamo sperare, è che siano le Chiese a cooperare tra loro perché ciò si realizzi ma per farlo abbiamo bisogno di creare un clima di entusiasmo per il progetto e d’ispirazione.
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