DIOCESI – “E le lucciole? Forse per il caldo, forse per l’argomento difficile, forse per la vecchiaia che si avvicina; il fatto è che l’altro giorno ero stufo di studiare. Con il racconto tratto dal libro “E la farfalla volò” di don Mario Delpini si è aperto il momento di riflessione di ieri, giovedì 9 novembre, dell’Azione Cattolica Giovanissimi nella parrocchia Regina Pacis di Monteprandone.
Il testo poi prosegue: “La cosa – convengo – è piuttosto grave, come fosse – che so? – un pesce che è stufo di nuotare. Io però, invece di farmi visitare da un dottore, ho pensato di ovviare alla malavoglia ingannando il tempo. Così ho inventato un amico e mi sono scritto una lettera:
Caro don Mario,
ho finalmente nascosto ben bene i tuoi libri, così da evitare la tentazione di aprirli e me la spasso in gite senza meta e senza premura su queste tranquille colline di Sormano. Il divertente è pensare che c’è gente che passa l’estate in astruse ricerche e faticosi studi!
Ora, a te che sei tanto sapiente, voglio rivolgere una difficile domanda. È un problema che mi pongo da quando ero bambino: ma le lucciole dove vanno a finire? Perché così breve è il loro apparire?
Con i miei più cordiali saluti e sincera amicizia.
Giacinto
Non è buona educazione lasciare senza risposta lettere di amici ancorché immaginari. Allora ho dovuto riprendere la penna:
Caro Giacinto,
al tuo problema potrebbe rispondere uno scienziato qualsiasi, ma sarebbe oltremodo banale, perché gli scienziati non possono lasciare spazio al sentimento, quindi non sanno distinguere tra gli animali, e sono capaci di confondere le lucciole con le zanzare, di spiegare la loro vita allo stesso modo e di ucciderle con lo stesso insetticida. Invece la vera storia delle lucciole è questa.
C’era una volta un papà che lavorava tutto il giorno per la sua famiglia; un lavoro ingrato e pericoloso: guidava i TIR su e giù per l’Europa. Naturalmente era un po’ triste perché, quando vedeva un bambino che schiamazzava contento in un giardino, non poteva evitare di pensare ai suoi figli lontani in attesa del suo ritorno; e guidava e guidava pensando: «Da qui a Colonia lavoro per Paolo, da Colonia a Rotterdam per Caterina…».
Tornava poi a casa, spesso di notte; al rombo del motore subito si accendeva una luce, e la moglie era in piedi per fargli trovare un po’ di latte caldo e un bacio innamorato.
Appena poteva entrava nella stanza dei bambini che, stanchi di aspettare, si erano ormai addormentati. Si avvicinava piano piano, cercava di indovinare i loro sogni, e deponeva un bacio sulla fronte. Senza svegliarsi, sorridevano i bambini, come di un bel sogno divenuto realtà.
C’era poi una suora di clausura che passava ore intere in preghiera e il tempo non le bastava mai: voleva offrire tutta la sua vita perché i preti fossero santi, perché nelle famiglie regnasse l’amore, perché i poveri avessero un pane.
E pregava e pregava, pensando ora all’una, ora all’altra delle grandi necessità della terra. Così intensa era la sua preghiera che raggiungeva talvolta persone lontane mille miglia e le assaliva di una gioia improvvisa, di un desiderio di fare del bene: e nessuno sapeva donde venisse.
C’era poi un ragazzo che riceveva ogni domenica qualche soldo per comprarsi un gelato. Ma da quando aveva saputo che bambini come lui morivano di fame, si era imposto di non spendere più una lira per inutili golosità. E tutte le domeniche deponeva la sua offerta in chiesa, nella cassettina per le missioni. E donava e donava, pensando ingenuamente: «Per le medicine… per il cibo… per i libri…».
Ma il bello è che succedeva proprio così: ragazzi lontani e sconosciuti ricevevano pane e cure e proprio non sapevano chi ringraziare.
C’era poi… oh, chissà quanta gente c’era ancora!
A un certo punto Gesù pensò di svelare tutti questi segreti e inventò le lucciole: prese i baci del papà, le preghiere della suora, i soldini del ragazzo, prese mille tesori nascosti e li trasformò in lucciole. Le mandò sulla terra per ricordare a chi le vede: «C’è gente che ti vuole bene, gente che soffre senza un lamento, gente che ogni giorno prepara per te doni segreti!».
Durano poco le lucciole, perché questo amore nascosto non vuole farsi pubblicità.
Sono timide e fragili le lucciole, perché compiono le loro conquiste senza prepotenza: hanno la forza invincibile e discreta dell’amore di Dio.
Piacciono ai bambini, le lucciole, perché essi sono capaci di credere nei tesori sepolti e nella generosità che non pretende riconoscenza.
Alcuni dicono che adesso le lucciole vanno scomparendo: forse perché è venuto meno l’amore; forse perché chi fa qualcosa di buono vuole subito mettersi in mostra sotto i riflettori.
Ma io penso che le lucciole non siano scomparse: solo che Gesù le ha volute tutte in paradiso.
Come tu sai, in paradiso non c’è il sole e neppure la luce elettrica: lassù è solo l’amore che rischiara e riscalda. Per questo c’è una gran luce: è l’amore immenso di Dio e migliaia e migliaia di lucciole, chissà. Forse ce n’è qualcuna che è mia, qualcuna che è tua…
Con amicizia.
Don Mario”
Al termine della lettura del racconto, Don Gian Luca Rosati assistente spirituale ACG ha aperto la sua riflessione: “Il racconto che abbiamo ascoltato, parla di persone appassionate alle cose che vivono.
È una passione che riescono a esprimere perché sanno chi stanno amando, per chi stanno lavorando, per chi stanno pregando, per chi stanno offrendo,…
Proprio come capita a ciascuno di noi; infatti don Mario scrive: «C’era poi… oh, chissà quanta gente c’era ancora!».
Stasera colgo l’occasione di questo incontro per ringraziarvi perché la mattina mi siete di esempio: vi incontro per le vie mentre andate a scuola e penso: «Che passione!».
Ci vuole passione per andare a scuola, ci vuole passione per fare le cose con amore: ci vuole una passione che Cristo continuamente alimenta!
Ora vorrei aiutarvi a fissare l’attenzione su una domanda, che forse da ragazzi ci veniva posta molto spesso: «Che cosa vuoi fare da grande?». Oggi potrebbe suonare così: «Per quale grande sogno stai dando la vita? Verso quale meta stai camminando?».
Non sono domande da bambini. Sono, invece, domande che fanno parte della nostra vita e ci accompagneranno sempre. Guai a metterle da parte!
E allora comincio col parlarvi delle mie passioni.
La mia passione da piccolo: fare quello che mi pare.
Sulla carta mi sembrava che non ci fosse altro da desiderare per essere felice. Ma poi, all’atto pratico, spesso le conseguenze erano ferite, punizioni, rimproveri,… Il mio stare bene, il mio fare quello che mi pare, spesso non faceva stare bene chi mi stava attorno e neppure me stesso: la soddisfazione iniziale per una marachella compiuta o per uno scherzo ben riuscito, presto lasciava il posto all’amarezza e al rimorso per il danno, piccolo o grande, che ne era seguito.
La mia passione a undici anni: poter offrire un sorriso che fosse segno di pace per me e per gli altri.
Avevo cominciato a capire che il mio bene avrebbe dovuto essere anche il bene di chi mi stava intorno.
E qui devo riconoscere che il Signore mi è stato sempre vicino e ha fatto in modo che la mia attenzione fosse attirata da persone buone, da persone virtuose. In quel periodo la domanda che guidava la mia ricerca era: «Dove trovi la gioia che ti fa sorridere?». Dovevo assolutamente scoprirlo.
Un mio compagno di scuola un giorno mi propose di fare il chierichetto in parrocchia. La mia risposta fu un «no» deciso perché ero convinto che non mi sarei sentito a mio agio sull’altare, sotto gli occhi di tutti. Poi incontrai la suora che istruiva i chierichetti e rimasi colpito dal suo sorriso e dalla sua gentilezza. Insegnò a me e ai miei fratelli a servire il Signore con gioia e non pensai più all’essere sotto gli occhi di tutti: l’importante era servire il Signore e continuare a cercare la fonte della gioia. La suora sembrava averla trovata; seguendo i suoi insegnamenti, l’avrei trovata anch’io. Andavo tutti i giorni a servire la messa, accompagnavo il parroco a benedire le case, mi rendevo disponibile per aiutare in parrocchia,… e a casa, naturalmente, mettevo il massimo impegno nello studio, perché bisognava essere coerenti.
Facevo tutto perché dovevo trovare la gioia!!!
La mia passione oggi: l’amicizia con Gesù.
Un mio amico scrisse nel suo diario:
«Ecco l’importante nella vita: aver visto una volta qualcosa, aver sentito una cosa tanto grande, tanto magnifica che ogni altra sia un nulla al suo confronto e anche se si dimenticasse tutto il resto, quella non la si dimenticherebbe mai più» (S. Kierkegaard, Diario 1837, II A 58).
La mia passione è l’Amicizia con Gesù perché in questa Amicizia mi si è rivelato e sempre mi si rivela un amore senza misura per me, una cura, una presenza continua. È un’amicizia quella con Gesù che cambia tutto ed è in grado di rendere più luminose tutte le altre amicizie, tutte le altre esperienze che posso fare nella vita!
Vi leggo qualche versetto tratto dal Vangelo secondo Giovanni (1,35-39):
«35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?”. 39Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio».
Che cosa posso dire della mia vita? Che cosa ho fatto finora?
Mi sono semplicemente messo a seguire Gesù che avevo visto e vedo passare nella vita di tanti uomini e donne intorno a me: i miei genitori, i miei nonni, i miei fratelli, il Papa, i Vescovi, i preti, i diaconi, le suore, i missionari, i catechisti, la gente in chiesa la Domenica, i fedeli della messa feriale, i santi, gli amici e anche tutti voi che siete qui.
A un certo punto Gesù si voltò e disse: «Che cosa cercate?».
La risposta fu un’altra domanda: «Rabbì, dove dimori?».
«Venite e vedrete», disse loro Gesù.
«… e quel giorno rimasero con lui» (Gv 1,38-39)
Anch’io chiedo: «Maestro, dove abiti?».
E cioè: «Dove stai? Dove vivi? Quali sono le cose che ti interessano? Qual è il tuo stile di vita? Come trascorri le tue giornate? Cosa dà senso alle tue giornate? Perché ti impegni? Perché cammini, incontri, guarisci, perdoni, chiami, accompagni, rincuori, incoraggi, dai fiducia? Perché perdoni, hai misericordia, fai risorgere,… Perché offri la tua vita per la mia vita?».
«Venite e vedrete» è la parola che Gesù mi ha rivolto da piccolo, da adolescente, da giovane, da universitario, da seminarista e oggi è la parola che Gesù mi rivolge da prete.
Quindi anche tu, che sei un giovanissimo, ricevi questa parola, questa chiamata a stare con Lui. Resta con Lui ogni giorno iniziando la giornata con il segno della Croce, leggendo un brano del Vangelo, come hai imparato a fare durante il campo-scuola o durante un’esperienza di vita comune, pregando il Padre nostro, compiendo buone azioni per amore di Dio e dei fratelli, partecipando alla Messa domenicale, avendo cura di confessarti una volta al mese, leggendo la vita dei santi, coltivando l’amicizia con una persona di fede, che possa essere un punto di riferimento per te. E soprattutto, non stancarti di fare attenzione alle persone che ti stanno intorno e chiediti sempre: «Che cosa anima il loro agire? Per quale grande sogno stanno dando la vita? Verso quale meta camminano?».
Buon cammino con Gesù, amici!”
Domani pubblicheremo tutte le foto e la cronaca dell’incontro.
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