Sulla strada tra Beirut e Damasco, posta quasi a metà di quei 120 chilometri che attraversano la fertile valle della Bekaa, Anjar è un’antica città omayyade nonché importante centro archeologico, oggi abitata prevalentemente da circa seimila armeni discendenti dei sopravvissuti al genocidio turco del 1915. Da qualche anno intorno alle abitazioni sono sorte delle piccole tendopoli di fortuna di rifugiati siriani in fuga dalla guerra, uomini, donne, bambini e anziani. Molti provengono dalla città martire siriana di Aleppo.
Tra loro anche diversi ragazzi e bambini che sono accolti nel “Foyer Agagianian”, aperto nel 1972, e che prende il nome dal cardinale armeno Gregorio Pietro XV Agagianian, la cui immagine troneggia proprio all’ingresso della struttura ampliata e ristrutturata dalla Chiesa italiana, con i fondi dell’8×1000, e da altri donatori.
Lo scorso giugno al Foyer è giunto in visita il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, mentre ieri (22 novembre) i 22 giovani ospiti della struttura hanno accolto il gruppo di giornalisti di testate diocesane appartenenti alla Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc), vincitori del concorso “8xmille senza frontiere”, promosso dalla Fisc e dal Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica della Cei.
Il Foyer è un segno visibile, non certo l’unico, dell’accoglienza libanese verso i rifugiati siriani. Stime parlano di circa 1,2 milioni di siriani ufficialmente registrati su un totale di 4 milioni di abitanti, senza contare la presenza di oltre 450mila palestinesi. Ma c’è chi pensa che siano almeno 1,8 milioni, vale a dire il più alto numero pro capite in assoluto di rifugiati nel mondo. Nel foyer sono ospitati 22 ragazzi dai 6 ai 15 anni, molti orfani siriani e qualche libanese in grave difficoltà familiare. Ad occuparsene, ormai da 14 anni, insieme ad altri sei operatori, è il sacerdote armeno padre Alishan Apartian, sposato, come consente la tradizione armena, e padre di quattro figli, di età compresa tra i 5 e i 12 anni.
“Siamo aperti a tutti. Non abbiamo porte chiuse per nessuno,
né per i libanesi né per chi viene da fuori, fuggito dalla guerra e dalla violenza, come i siriani. È lo spirito del Vangelo che cerchiamo di mettere in pratica”, racconta, mentre mostra la struttura in gran parte rinnovata. “Tutto ciò che facciamo è assolutamente gratuito, reso possibile dalla generosità di tanti benefattori. A chi viene qui non chiediamo nulla”, aggiunge.
Intanto dal salone dei giochi giungono voci e rumori. Sono i ragazzi del centro che approfittano di un giorno di vacanza – il 22 novembre in Libano è la festa dell’Indipendenza – per passare il tempo giocando a calcio balilla, a ping pong, mentre i più piccoli si rincorrono senza sosta. Con loro anche due dei figli di “abuna” Apartian che più che mai si sente padre di tutti gli ospiti del Foyer. “Come genitore conosco bene i bisogni di questi ragazzi, so bene di che tipo di affetto e cure hanno bisogno”.
E come ogni buon padre si preoccupa che i suoi ragazzi “possano un giorno integrarsi nella società per continuare la loro esistenza con dignità. Perché questo possa realizzarsi cerchiamo innanzitutto di farli sentire a casa, dando loro l’affetto di una famiglia luogo dove sentirsi amati, considerati e rispettati.
Questo è fondamentale per la formazione della loro personalità. Con noi qui al Foyer ci sono anche alcune signore, il volto materno di questa casa.
I bambini hanno bisogno soprattutto di ascolto.
Solo ascoltandoli possiamo comprenderli nei loro bisogni più profondi”. Ma non tutti ce la fanno. “Una volta compiuti 15 anni devono lasciare il Foyer ed è accaduto, in passato, che due di loro abbiano perso la vita. Uno si è suicidato, un altro morto in un incidente stradale con la moto”. Pensare al loro futuro vuole dire “dare istruzione e formazione umana che passa anche per la preghiera”. I ragazzi del Foyer passano la loro giornata tra scuola, studio pomeridiano, attività sportiva e ricreativa, cura personale e preghiera. Come qualunque ragazzo della loro età.
“Certamente la mancanza di uno o di entrambi i genitori, una storia personale fatta di guerra, fughe e lontananza da casa e parenti pesano sulla personalità di questi giovani – spiega il sacerdote – e anche la struttura influisce molto sulla loro psicologia. Dormire bene, mangiare e giocare con serenità sono azioni che influiscono positivamente sul carattere dei nostri ospiti. Questa struttura rinnovata, luminosa, riscaldata, pulita, grazie ai fondi dell’8×1000 ha ridato speranza e fiducia a questi bambini.
Ora dobbiamo continuare su questa strada e completare il lavoro di ampliamento. I nostri ragazzi ci chiedono un campo di calcio nel Foyer in modo da evitare lunghi trasbordi per giocare in un campo in affittare situato nei dintorni. Speriamo che si possa realizzare il sogno di aiutare questi giovani rifugiati”. Un sogno che il sacerdote consegna alla protezione della “Madre di Dio” alla quale venivano affidati i prigionieri e i rifugiati come si legge in una preghiera incisa su una stele ancora visibile nel parco archeologico della città. Ieri come oggi.
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